Università: i tagli della Finanziaria e le prospettive future

I tagli e gli aggiustamenti previsti dalla legge Finanziaria in materia di risorse per l’università e la ricerca scientifica chiariscono molte cose. E innanzi tutto che sbagliava chi si limitava a sottolineare nell’operato del ministro Moratti un intreccio di incompetenza e di tutela di interessi particolari. Non che questi non fossero e non siano presenti, e ben visibili (tanto la prima quanto i secondi). Eppure, ciò che la Finanziaria contribuisce a chiarire (se mai ce ne fosse stato bisogno) è che nella concezione dell’Università della Moratti c’era e c’è una razionalità politica di fondo molto precisa.
Le cifre parlano chiaro. La Finanziaria in discussione in Parlamento prevede una riduzione di 55 milioni di euro dal Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università, di 60 milioni di euro per il Fondo per l’edilizia universitaria, di 528 mila euro per il Fondo per il piano triennale di sviluppo delle università, di 92 mila euro per il Fondo per il diritto allo studio. Allo stesso tempo, come a voler fugare ogni dubbio circa la strategia complessiva degli investimenti, la Finanziaria prevede un aumento di 8.577 milioni di euro per il finanziamento alle Università private. Ci sarebbero ancora dettagli illuminanti da evidenziare, ma sono sufficienti le cifre riportate.
Queste infatti rinsaldano e rinvigoriscono, con la forza e la concretezza dei numeri, la logica profonda dello sciagurato Disegno di Legge sullo stato giuridico dei docenti universitari approvato in Parlamento alla fine dello scorso ottobre. Un Disegno di Legge che, al di là del dettaglio delle singole modifiche, procedeva molto limpidamente in due direzioni di fondo: progressivo impoverimento e indebolimento dell’università pubblica; progressivo sostegno e rafforzamento dei cosiddetti “centri di eccellenza” a gestione privata (o a gestione improntata alla logica del privato).
La precarizzazione del ruolo del ricercatore, nonché il rafforzamento delle logiche tipicamente aziendali applicate all’università (i due “pilastri” su cui poggia il DDL Moratti) avevano questo obiettivo di fondo: colpire al cuore l’università pubblica intesa come sede dell’alta formazione e della ricerca unite e strette insieme nell’elaborazione e nella trasmissione di un pensiero critico e complesso. Allo stesso tempo, supportare e incoraggiare una concezione aziendalistica e privatistica dell’università con lo scopo di indebolire proprio l’elaborazione e la trasmissione di un sapere così potenzialmente pericoloso.
Senza questa consapevolezza non risulta sufficientemente chiaro il contesto in cui si colloca l’azione del Governo in materia di Università. Qui, come in molti altri settori, le politiche berlusconiane non hanno fatto che proseguire, e addirittura per certi versi portare a compimento, ciò che era stato avviato dai precedenti governi di centro sinistra sin dai primi anni novanta. Lo ha scritto recentemente l’ANDU (Associazione Nazionale Docenti Universitari): “Questa operazione di disintegrazione dell’Università statale a favore dei cosiddetti ‘Centri di eccellenza’ è cominciata nelle precedenti legislature con la finta autonomia finanziaria degli Atenei, la finta autonomia statutaria, i finti concorsi locali e la controriforma del CUN. E nella stessa direzione della demolizione dell’Università statale vanno l’espansione del precariato (oltre 50.000 precari), la dequalificazione degli studi (il ‘3 + 2’) e la moltiplicazione dei Corsi di Studio e delle Sedi”.
La cosa preoccupa, e molto, pensando al futuro. Un ipotetico Governo dell’Unione (ammesso che mai lo vedremo davvero all’opera) saprà contrastare le politiche della Moratti aggredendole alla loro radice, sapendone cioè cogliere la sostanza? Oppure, come ha scritto Luigi Saragnese a proposito della scuola, avremo una Moratti senza la Moratti? Le avvisaglie non sono incoraggianti. Chi segue il dibattito in corso nell’Unione su questi temi non può che nutrire qualche preoccupazione. Ancora l’ANDU sottolinea il rischio concreto che le rovinose politiche avviate negli anni novanta “possano essere perfezionate e completate nella prossima legislatura”, qualora dovessero prevalere le idee di alcune componenti della sinistra moderata: “autonomismo aziendalistico degli Atenei, rettore-padrone, abolizione dello stato giuridico nazionale, ulteriore gerarchizzazione della docenza (professori eccellenti e netta separazione degli ordinari dagli altri docenti), reintroduzione degli organici separati per fasce, messa in discussione del valore legale dei titoli di studio, cancellazione di ogni Organo di rappresentanza del Sistema nazionale direttamente eletto, ecc”.
L’azione della Moratti non va dunque contrastata tanto per l’incompetenza e l’arroganza dimostrata. Certo, anche per questo. Ma innanzi tutto per quel suo aver saputo, e potuto, riannodare i fili di un decennio di devastanti politiche universitarie che hanno messo in ginocchio gli atenei italiani e dequalificato drammaticamente il sistema formativo. A questo, come Rifondazione Comunista, dovremo saperci opporre, pur nella consapevolezza che in quell’ipotetico governo dell’Unione saremo probabilmente in minoranza.