Università e ricerca, quando il governo smentisce il suo programma

Avremmo voluto scrivere un altro articolo. Avremmo voluto parlare di alcuni problemi dell’Università del dopo-Moratti e rivolgere al ministro Mussi qualche domanda per ciò che attiene in particolare alla spinosa questione dello statuto giuridico della docenza universitaria. In un’audizione dinnanzi alla VII commissione della Camera dei Deputati e in alcune interviste rilasciate di recente, il ministro ha affrontato nodi rilevanti e ha accennato alla questione dello stato giuridico. I temi importanti a cui facciamo riferimento riguardano nello specifico la necessità di una significativa crescita degli investimenti per l’Università italiana. Mussi ha chiarito che è realistico prevedere un aumento degli investimenti pubblici nel settore solo a partire dal 2008, ma ha tracciato interessanti percorsi che dovrebbero condurre a un coinvolgimento del capitale privato, evitando al contempo che esso si trasformi in un “abbraccio mortale”. Il ministro ha anche opportunamente sottolineato la necessità di provvedere in tempi rapidi al riordino degli enti pubblici di ricerca come il Cnr e l’Enea, prossimi al collasso. E ha inoltre indicato alcuni snodi di una seria politica sul diritto allo studio, sottolineando la necessità di un significativo incremento delle borse di studio e degli investimenti nell’edilizia universitaria, anche per ciò che riguarda l’edilizia residenziale destinata agli studenti “fuori sede”.
A fronte di queste importanti riflessioni – che paiono autorizzare la speranza che al ministero dell’Università e della Ricerca scientifica cominci a circolare aria nuova -, il ministro si è anche soffermato sulle scottanti questioni che concernono il riassetto della docenza e in particolare la fascia dei ricercatori, rimarcando l’urgenza di un piano di nuove assunzioni e chiarendo giustamente di non pensare a immissioni indiscriminate ope legis. La domanda che avremmo voluto rivolgere in proposito al ministro Mussi è semplice: con quali forme contrattuali ritiene egli che i nuovi ricercatori debbano accedere ai ruoli dell’Università di qui al 2013 e, ove egli opportunamente si sbarazzasse dell’infausta eredità morattiana, dopo questa data? Pensa Mussi che anche nell’Università le giovani generazioni debbano scontare colpe altrui, permanendo in una condizione di precarietà incompatibile con lo svolgimento di un adeguato impegno didattico e scientifico? O, come ci auguriamo, egli ritiene invece di liberare le Università da questa sciagurata condizione riaprendo le porte ad un lavoro buono, anche in considerazione del fatto che spesso un giovane arriva ad un concorso di terza fascia dopo lunghi anni di lavoro nero e in età non propriamente verde?

Di questo avremmo voluto parlare con il ministro e ci ripromettiamo di farlo in una prossima occasione. Ma oggi sentiamo l’urgenza di denunciare con la massima forza la gravità della recente decisione presa dal Governo a spese dell’Università e di manifestare al ministro Mussi la nostra convinta solidarietà politica in questo delicato frangente.

La vicenda è nota. Il maxiemendamento al ddl Bersani-Visco proposto dal governo e approvato in questi giorni al Senato prevede un taglio secco del 10% alle spese per “consumi intermedi” (affitti, canoni e servizi) destinate agli Atenei: in soldoni, 200 milioni di euro in meno per l’anno corrente, da versarsi per di più entro ottobre. » una notizia che lascia esterrefatti, poiché smentisce tutte le affermazioni fatte in campagna elettorale sul primato della ricerca e della formazione. E perché procura ai già magri bilanci delle Università un colpo gravissimo che si tradurrà nella impossibilità di far fronte a spese vitali (riscaldamento, canoni di uso di aule e laboratori, materiali di consumo, manutenzione informatica, persino luce, acqua e servizi di pulizia).

A proposito di campagna elettorale, conviene ricordare quanto il Programma dell’Unione stabilisce in materia di politica universitaria. Si tratta – leggiamo – di rovesciare le politiche praticate dal centrodestra all’insegna del «definanziamento del sistema Università» e dunque, in positivo, di «aumentare e qualificare decisamente la spesa per l’Università e per la ricerca, con regole e modalità che la rendano un investimento per la crescita del Paese, anche adeguando le infrastrutture di ricerca (strutture edilizie, strumentazione, biblioteche, etc.) alle esigenze della ricerca di base e tecnologica più avanzata». Leggere per credere: queste erano le premesse della vigilia, scandite nero su bianco in quel Programma che, a sentire qualcuno, il governo rispetterebbe alla lettera, non fosse che per i grattacapi procuratigli da qualche “irresponsabile”.

Evitiamo ogni polemica. Non possiamo però non aggiungere la nostra voce a quella di quanti – a cominciare dalla Conferenza dei rettori – hanno giudicato questa decisione del governo grave e allarmante. Mussi ha posto una condizione: che i tagli non vengano ripetuti in Finanziaria, cioè per il prossimo anno. Riteniamo anche noi che questa sia una linea di confine non valicabile e, nel ribadirlo, facciamo appello al senso di responsabilità (qui sì il termine è appropriato) dell’esecutivo. Va quindi rovesciata l’attuale impostazione che prevede (cfr. l’art. 22 della “manovrina”) che i tagli continuino anche nel triennio 2007-2009, in misura del 20%.

Ove seguitasse a guidare la marcia del governo Prodi, questa ossessione per il risanamento, che pesa così gravemente anche sul Dpef, produrrebbe effetti devastanti. Davvero non vorremmo che finisse con l’avere ragione chi – consapevole che quando si dice “economia” si parla in realtà della vita concreta di una collettività, del riconoscimento o della negazione di diritti, del soddisfacimento o meno di bisogni vitali – sostiene, parafrasando Clemenceau, che l’economia è troppo seria per essere affidata a degli economisti.