Rumorosamente al senato e più silenziosamente nelle varie commissioni che alla camera stanno esaminando la legge finanziaria, il centrosinistra torna a dividersi sul futuro delle missioni militari all’estero. Il senato ha approvato definitivamente la missione Unifil in Libano (272 sì, 15 no e 2 astenuti) ma poco prima del voto la maggioranza si è divisa sull’ordine del giorno presentato da An che legittima di fatto la presenza italiana in Iraq anche se a un passo dal ritiro: contrari Verdi-Pdci e Lega, astenuto il Prc. Astensione allarmata sempre di Rifondazione in commissione difesa a Montecitorio sull’aumento a 1,7 miliardi delle spese per armamenti previste nel bilancio 2007 e unanimità molto guardinga in commissione esteri sul controverso fondo di un miliardo per tutte le missioni militari all’estero.
Sono tutti segnali che, pur lontano dai grandi riflettori e segnati da qualche tatticismo, dimostrano il disagio dell’ala pacifista dell’Unione sulle scelte strategiche di fondo della politica estera del governo Prodi. La fedeltà alle strategie atlantiche e statunitensi adottata dall’Ulivo (correntone incluso) mette nell’angolo le sinistre parlamentari e il movimento pacifista che pure hanno puntato sul governo dell’Unione per una politica alternativa al centrodestra.
Con il no delle sinistre (l’astensione a palazzo Madama equivale al voto contrario) il senato ha approvato l’ordine del giorno Fini-Storace che esprime apprezzamento per le forze armate impegnate in tutte le missioni, Iraq compreso, nel rispetto dei valori espressi dall’articolo 11 della Costituzione. Una scelta avallata all’epoca da Carlo Azeglio Ciampi e riproposta a mo’ di trappola dalla Cdl nell’ultima discussione alla camera. In quell’occasione Massimo D’Alema aderì a nome del governo senza nemmeno far votare l’aula, al senato almeno è stato concesso di votare e di marcare i doverosi distinguo.
Divergenze strategiche registrate anche in commissione difesa a Montecitorio, dove i deputati del Prc (Deiana, Cannavò e Duranti) si sono astenuti sulla parte della finanziaria che porta lo stanziamento per il rinnovamento tecnologico della Difesa a 1,7 miliardi di euro.
Più soddisfacente invece l’intesa raggiunta in commissione esteri. E’ stato approvato all’unanimità lo stralcio di tutti i commi (ai limiti della costituzionalità) dell’articolo 188 sul «fondo per le missioni all’estero» lasciando solo la sua istituzione pari a 1 miliardo di euro all’anno. Una cifra in linea con gli stanziamenti precedenti (circa 490 milioni ogni sei mesi). «Il fondo per le missioni è una decisione di serietà e di trasparenza – avverte il capogruppo del Prc alla camera Gennaro Migliore – perché con la Cdl le missioni venivano finanziate pescando in modo creativo dall’8 per mille (Prodi invece ha usato per Unifil il maggiore gettito fiscale, ndr), ed è un accordo soddisfacente perché anche se con un decreto annuale e non più semestrale abbiamo evitato che fosse il governo e non il parlamento ad avere l’ultima parola sulle missioni militari». «Un buon compromesso», conferma Luciano Pettinari della sinistra Ds. Alla fine il relatore in commissione, il Ds Valdo Spini, è soddisfatto: «Aver chiuso all’unanimità è un successo della maggioranza, ora però il governo deve fare chiarezza sui fondi per la cooperazione che anche se sono stati aumentati rischiano di essere cancellati dal debito di 150 milioni che il governo Berlusconi non ha mai versato all’Onu per il fondo globale per la lotta alla malaria, alla fame e alla tubercolosi». L’intesa raggiunta ieri, ovviamente, presenta ombre e non convince del tutto i cosiddetti «dissidenti»: «Il decreto annuale è un motivo in più per votare no alla missione in Afghanistan», avverte Salvatore Cannavò del Prc, che però riconosce favorevolmente l’avvio del fondo ad hoc.
Resta infine ancora aperta la questione sul famigerato «monitoraggio» delle missioni, approvato in estate ma ancora mai partito. Nella maggioranza si lavora su due comitati delle commissioni esteri e difesa che lavoreranno in modo congiunto per valutare l’evolversi della situazione e ascoltare Ong e società civile. E’ evidente che il precipitare della guerra in Afghanistan rende questo strumento necessario anche se non ancora sufficiente per l’agognata «exit strategy» da Kabul.