E’ stato probabilmente il polverone sul caso Unipol a far passare in secondo piano la riscrittura del programma dell’Unione, già concordato ai tavoli da tutti i partiti, e adesso rimaneggiato abusivamente dai soli prodiani. Il caso è stato denunciato nei giorni scorsi dai Verdi, con Pdci e Rifondazione ugualmente critici. In ogni caso, l’attuale documento non è quello definitivo: non solo perché la sinistra radicale, come è ovvio, pretende che si ritorni al testo precedente, ma anche perché deve ancora passare attraverso la discussione dei segretari. Ieri, comunque, la sinistra Ds è andata oltre: chiede che si riaprano i tavoli programmatici. Qui segnaliamo le modifiche più importanti apportate al testo sul lavoro, cinque pagine sulle 274 totali. Innanzitutto permane l’ambiguità sul destino della legge 30 (nota come «Biagi», e che qui viene ribattezzata «legge Maroni»): il testo conferma che l’Unione è «contraria alla legge Maroni e ai suoi decreti attuativi», ma non propone di abrogarla in toto e indica solo alcune misure per annullarne le parti più precarizzanti.
Inversione sul «pacchetto Treu»: nel testo precedente si diceva che «la regolamentazione del lavoro interinale dovrà essere rivista anche considerando l’impostazione legislativa definita dal precedente governo di centrosinistra». La rilettura «prodiana» fa invece un peana del pacchetto Treu, affermando che «con riferimento al lavoro interinale, riteniamo opportuno recuperare l’originaria impostazione legislativa definita dal governo di centrosinistra». La sinistra dell’Unione, totalmente ignorata da chi ha riscritto il testo, vorrebbe ripensare il pacchetto Treu limitando i contratti interinali solo alle alte qualifiche; al contrario, se passasse la nuova versione, si rimarrebbe alla situazione attuale, potendo «affittare» tutti i tipi di lavoratori, anche gli operai semplici o gli operatori dei call center.
Tra gli «scomparsi», anche il riferimento alla direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione del lavoro e dei servizi in Europa: il vecchio documento, perlomeno, contrastava il principio della «clausola del paese di origine», anche se bypassava con leggerezza il nodo della liberalizzazione dei servizi pubblici. Sparisce pure la richiesta di abrogare il decreto legislativo 368 del 2001 sui contratti a termine: si parla solo dell’obbligatorietà di percentuali e di una causale per attivarli, ma non si fissa un limite alla reiterazione (dunque, secondo i «prodiani» si potrà essere a termine per tutta la vita: ma Prodi non parlava della precarietà come di una «piaga»?).
Sul pubblico impiego, il vecchio testo affermava che «le attività della pubblica amministrazione che garantiscono i diritti tutelati costituzionalmente e i relativi servizi devono essere parte integrante dell’intervento pubblico e non siano esternalizzabili». Quello nuovo sostituisce la parola «essere» con «rimanere»: si confermerebbe la situazione attuale, impedendo di internalizzare chi è già in appalto o esternalizzato. Spariscono i riferimenti «alle proposte di legge del centrosinistra, della sinistra e della stessa Cgil», dunque tutta l’elaborazione degli ultimi cinque anni alternativa alla legge 30.
Non si parla più di ripristino del credito di imposta per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. Si elimina il passaggio sui panieri Istat differenziati secondo le diverse classi di reddito (pensionati, operai, etc., importanti per la contrattazione). Quanto alla democrazia e rappresentanza sindacale, resta perlomeno il riferimento all’accordo raggiunto dai metalmeccanici, mentre sparisce il riferimento alla Bassanini (che nel pubblico impiego permette la rappresentanza per i sindacati di base). Ma soprattutto scompare la parte che impegnava alla ricerca di un’iniziativa legislativa, anche questo in pieno spregio degli alleati. Il vecchio testo affermava «l’esigenza di fornire un quadro legislativo di sostegno al tema della rappresentatività». I «prodiani» affermano solo che «è necessario riprendere un confronto», senza mai citare la parola «legge».
«Poiché l’accordo tra i partiti era stato trovato – afferma Buffo – occorre riconvocare subito i tavoli e trovare nuovamente una soluzione condivisa». Paolo Ferrero, di Rifondazione, ribadisce «che non è un testo definitivo, ma ancora una bozza: e vogliamo che la bozza recuperi pienamente gli elementi positivi concordati».