Unione europea e Africa: cooperazione o assoggettamento?

Le relazioni di dominazione economica e politica tra i paesi del centro e della periferia del sistema capitalista si manifestano in molteplici e diversificate forme.

In Africa, la corrente di lotta di liberazione dal giogo coloniale che ha percorso il continente a partire dagli anni 60, non è riuscita a consolidare un’effettiva indipendenza economica dei nuovi paesi, e nemmeno la sovranità su un territorio e risorse naturali di grande valore e, proprio per questo, oggetto continuo di cupidigia, di disputa e di rapina.

Le politiche di aggiustamento strutturale, imposte in conseguenza di un asfissiante debito estero, hanno ricoperto un ruolo centrale nell’instaurazione di queste relazioni di dominazione/assoggettamento. E i loro effetti si sono accentuati, in modo significativo, con le sconfitte del socialismo su scala mondiale.

Ciò vale anche a proposito del 4° Incontro Regionale dell’Assemblea Parlamentare Paritaria Unione Europea (UE) – Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), che ha riunito, a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, membri del Parlamento Europeo e dei parlamenti dei paesi dell’Africa Occidentale. Tra questi ultimi, si contano 16 paesi (ex colonie francesi, inglesi e portoghesi), 12 dei quali vengono inclusi tra i paesi più poveri del mondo.

Tra i diversi temi in discussione – tra gli altri: l’integrazione regionale, la stabilità politica e la sicurezza e le alterazioni del clima – sussidiarie alla strategia dell’UE per la regione, uno di essi ha assunto particolare rilievo, e concentra parte fondamentale degli attuali sforzi di dominazione e sfruttamento: i cosiddetti “Accordi di Partnership Economica” (APE).

Nuovi strumenti di dominazione

In discussione dal 2002, gli APE consistono in accordi di libero commercio tra l’UE e i paesi ACP, che vengono negoziati con differenti blocchi regionali. Quanto ai paesi africani, il negoziato, che l’UE sperava di poter concludere entra la fine del 2007, si è arenato e la stipula degli accordi procrastinata grazie alla resistenza degli stati africani, che hanno ben presente i rischi inerenti all’imposizione di “accordi” nelle modalità che l’UE va proponendo.

Gli APE presuppongono l’apertura dei mercati africani ai beni e servizi provenienti dall’UE, con l’eliminazione delle tasse sulle importazioni (almeno dell’80% di esse), e l’accesso preferenziale rispetto ad altri concorrenti (USA e potenze emergenti, con speciale riferimento alla Cina), la “liberalizzazione e la sicurezza degli investimenti europei”, la facilitazione dell’accesso alle risorse naturali, l’eliminazione delle restrizioni alle esportazioni di materie prime verso l’UE, la garanzia della “protezione giuridica” delle imprese e degli investimenti europei, il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l’applicazione delle regole della libera concorrenza.

La gigantesca crisi, in cui il mondo è invischiato – e la particolare incidenza che essa ha sui paesi meno sviluppati, sui piani economico, sociale, alimentare e ambientale – non sembra sufficiente a moderare la retorica neoliberale che, ipocritamente, afferma che gli APE rappresenterebbero un’opportunità per i paesi africani che in tal modo riceverebbero “un nuovo impulso alla loro crescita economica”, “beneficerebbero dell’apertura di nuovi mercati per i loro prodotti” e “si inserirebbero nel processo di integrazione su scala internazionale”, integrando le loro economie nell’ “economia globale”.

In un contesto diverso, con l’entrata nel “mercato comune”, il Portogallo ha ben conosciuto il significato di tale “opportunità”: lo smantellamento progressivo di un sistema produttivo fragile se messo a confronto con quello delle grandi potenze, con cui è stato posto in concorrenza diretta; una dipendenza crescente dalle importazioni che, sul piano alimentare, supera già il 70%; e nuovi mercati, si, ma fondamentalmente per il capitale straniero.

Nel caso dei paesi africani, dato il loro stadio di sviluppo economico e l’elevata dipendenza che presentano nel settore primario, le conseguenze potrebbero essere ben peggiori.

Per vincere la resistenza dei paesi APC a firmare tali accordi, l’UE non esita a ricorrere a un velato ricatto, facendo dipendere l’ “aiuto allo sviluppo” alla sigla degli APE, per questo chiamati anche “accordi di commercio per lo sviluppo”. In paesi in cui l’aiuto esterno arriva a rappresentare una fetta superiore al 50% dei rispettivi bilanci, la pressione è grande e la resistenza difficile.

Così si tessono le reti del neocolonialismo in questo martirizzato continente.

“Avante”, settimanale del Partito Comunista Portoghese
12 novembre 2009
http://www.avante.pt/noticia.asp?id=31263&area=8

Traduzione di Mauro Gemma per http://www.lernesto.it