Una spia tra i lavoratori

Diritti violati

Assunto come magazziniere, pagato per spiare i colleghi. Soprattutto i delegati sindacali. Anzi, per ogni soffiata sui rappresentanti dei lavoratori il suo compenso raddoppiava. È accaduto per circa tre anni presso la sede di San Donato Milanese della Metro, grande cash and carry tedesco. E tre giorni fa, davanti al giudice al quale ha fatto ricorso la Filcams Cgil, il sindacato di categoria, l’azienda non ha affatto negato il ricorso a questo metodo occulto per tenere sotto controllo i propri dipendenti.

Non è tutto: l’infiltrato – che una volta scaricato ha raccontato la trama – non era solo. Nello stesso magazzino di San Donato c’era almeno un altro “collega” che svolgeva le stesse mansioni. Entrambi erano coordinati di un’agenzia di investigazioni private.
La buccia di banana su cui scivolano gli ideatori del progetto di spionaggio interno si materializza nell’aprile scorso. In quel momento il giovane “controllore” lavora per la Metro come addetto al magazzino con un contratto a tempo determinato, che da circa tre anni viene rinnovato ma che non è mai stato trasformato in assunzione definitiva, come invece – lui sostiene – gli era stato promesso. Così, quando l’azienda gli propone un altro rinnovo a termine abbinato a un suo trasferimento alla sede di Cesano Boscone (sempre nell’hinterland sud di Milano), il ragazzo rifiuta. La direzione del personale non ci pensa due volte e lo mette alla porta, Ma il giovane si rivolge ai delegati sindacali della Filcams Cgil presso la stessa Metro. Inizialmente si limita a chiedere una normale tutela sindacale e la verifica dei suoi eventuali diritti acquisiti dopo tre anni di contratti a termine, ma poi rivela una storia da brividi.
Racconta, infatti, di essere stato assunto alla Metro su indicazione esplicita di una società di investigazione privata alla quale l’azienda tedesca si era rivolta per fare luce sullo stillicidio di furti e taccheggi. Una piaga sulla quale gli stessi sindacati erano stati coinvolti nell’azione di contrasto sottoscrivendo diversi accordi che autorizzavano l’installazione di telecamere e sistemi antifurto praticamente ovunque. Non soddisfatta, però, la Metro avrebbe deciso di rivolgersi agli investigatori privati che avrebbero suggerito l’insolito stratagemma dell’infiltrato: hanno indicato un loro uomo che avrebbe dovuto essere assunto come normale lavoratore ma con l’incarico di fornire all’agenzia di detective informazioni sui colleghi del magazzino. Per ogni soffiata – al di là del suo normale stipendio da magazziniere a termine – gli sarebbero stati pagati 500 euro, che diventavano mille se il soggetto spiato era un delegato sindacale. Col tempo, tra l’altro, l’attività spionistica del magazziniere finisce inevitabilmente per concentrarsi sull’area di colleghi più vicini al sindacato e si tramuta in un flusso di informazioni “politiche” e soprattutto sindacali, più remunerative per lui e più interessanti per l’azienda.
Il “premio” finale sarebbe stata l’assunzione a tempo pieno. Per questo quando si vede rinnovare l’offerta di un contratto a termine con il trasferimento in un’altra sede dove continuare la sorveglianza nei confronti dei colleghi – che comunque è un’attività snervante e sgradevole – decide di ribellarsi al ricatto occupazionale.
A questo punto la faccenda scotta davvero e viene quindi girata ai vertici regionali della Filcams Cgil, che immediatamente si rivolgono alla magistratura con un esposto contro la Metro per attività antisindacale. Alla prima udienza, tre giorni fa, «davanti al giudice l’azienda non ha negato i fatti, sostenendo che però appartenevano al passato, mentre noi siamo convinti che si tratti di attività ancora in corso – spiega Renato Losio, segretario generale della Filcams Cgil – e per quanto riguarda l’attività di “sorveglianza” nei confronti dei lavoratori si è limitata a dire che non ci sarebbe nulla di illegittimo nel tentativo di tutelare il patrimonio dai furti, anche attraverso controlli occulti». Metro, quindi non ha negato lo spionaggio. «E una vicenda davvero inquietante – commenta lo stesso Losio, che nel frattempo sta valutando con i legali del sindacato anche l’ipotesi di un’azione penale – per diversi aspetti. Innanzitutto perché, considerato che in quella stessa sede della Metro c’erano almeno due “spie”, è legittimo chiedersi quanto sia diffuso questo metodo illegittimo di sorveglianza in quella come in altre aziende. In secondo luogo perché, in un ambiente dove sono moltissimi i rapporti di lavoro precari, a termine, il rischio è che le informazioni raccolte occultamente sui lavoratori diventino criterio per la conferma o meno dei contratti al di là del merito». E poi c’è da considerare che, come accade già adesso alla Metro, «tra i lavoratori – racconta ancora Renato Losio – si è instaurato un clima di sospetto. Chi avrà il coraggio di esprimere opinioni davanti alla macchinetta del caffé?».