L’Unione deve ricordarsi di una cosa: il pacifismo italiano esiste ed ha votato centro sinistra. Ha votato certamente Rifondazione, ma, molti pacifisti, hanno votato Ds, Margherita e Verdi e Pdci. Insomma, Prodi. Non hanno espresso un voto solo per opporsi a Berlusconi e ai guerrafondai di destra, ma perché l’Unione ha garantito di rispettare l’art. 11 della Costituzione. La situazione in Afghanistan sta precipitando, l’allarme è massimo. Gino Strada sostiene che c’è una sola soluzione: ritirarsi. Subito. Un governo della guerra non potrebbe, poi, ripresentarsi in piazza, a fianco dei pacifisti. Ma la politica ha i suoi tempi, tempi che molto spesso non coincidono con quelli della vita reale. E questo si sa. Forse il gran polverone sull’Afghanistan è per ora tutto “mediatico”, come descrive bene la senatrice Lidia Menapace: «Non so di voti e missioni. Non posso dare un parere su decisioni che non sono state prese. Possibile che oltre alle due Camere parlamentari, oltre alla terza Camera di Bruno Vespa, ora abbiamo anche la quarta e quinta Camera, quelle del Corriere della Sera e di Repubblica? Dobbiamo vivere sui dibattiti che fanno i giornali?». La divergenza in commissione difesa c’è stata, chiaro, ma la discussione, a tutto campo, non è ancora finita, dice Alfio Nicotra che aggiunge: «Credo che il pressing del movimento pacifista debba essere su tutta l’Unione e non solo su Rifondazione Comunista». Negativa, totalmente negativa la posizione di Lisa Clark e dei Beati Costruttori di Pace, nel caso di un voto favorevole al rifinanziamento della missione afghana: «Non è proponibile rimanere in un teatro di guerra come quello, nonostante l’egida Onu». Una parte di egida Onu, l’altra parte è pura strategia atlantica. «La missione deve finire – incalza Giulio Marcon di Lunaria – Non ha niente a che vedere con altre missioni Onu come la Bosnia o il Mozambico negli anni Novanta. Questa è nata in una situazione di guerra su iniziativa Usa. In parte, allora è Onu, in parte è Nato. Credo che la posizione del movimento pacifista sia piuttosto chiara. Sarebbe comunque utile per l’Unione creare un documento, avviare, insomma, un’iniziativa che delinei, quanto meno, un percorso attuabile in tempi stretti, per il ritiro delle truppe italiane». Esiste comunque un appello firmato da parlamentari dell’Unione, un appello per lasciare subito tutti i teatri di guerra. «Sulla base di questo appello – racconta Piero Maestri di Guerre&Pace – abbiamo già fissato delle iniziative per coinvolgere i parlamentari dell’Unione. Penso che se questo governo vuole invertire una rotta politica, se vuole veramente cambiare, deve cominciare dal cambiare atteggiamento nei confronti della società civile e dei movimenti. Si discute quello che si ha intenzione di fare ma, attenzione, non sulla questione dei tempi, ma dentro un ragionamento più complesso. Quello sulla guerra globale che per sua natura non può prevedere altri tipi di missioni che non siano dentro la logica “enduring freedom”. Ripensare la guerra a questo livello non è, allora, solo una questione di fretta. Ho sentito parlare di una “mozione di indirizzo” da presentare con il voto. Siamo disponibili a ragionare su una mozione di indirizzo se questa mozione è inserita, ripeto, in questo ragionamento. Se si tratta di un mezzuccio tecnico allora non ci interessa».
La situazione precipita, in Afghanistan: «E non lo dicono i pacifisti, ma i generali, l’esercito». Piero Bernocchi è netto: «Votare il rifinanziamento significa mandare ad uccidere e ad essere uccisi. I Talebani si sono riconquistati fette di territorio. Gli americani vogliono riprendersele. Lo dicono gli esperti: si tratterà di una guerra dura, durissima. E gli italiani, nelle stragrande maggioranza – il 65% – vogliono che i soldati rientrino a casa. Quindi il “no” non sarebbe una posizione di minoranza. Credo che l’Unione non debba “attaccarsi” al fatto che la mobilitazione di piazza sia sottotono. Ci sono alcuni elementi politici evidenti che “bloccano”. Il primo fra tutti: che succede se cade il governo. Beh, io credo che ci si possa dividere, che si possa discutere su scuola, sanità, lavoro. Ma sulla guerra no. Un governo che cade sulla guerra sarebbe un governo civile».