Una scuola Cia-Mossad in Marocco per gli afghani

“Mi sembra strano che nessuno dopo quell’operazione (l’attacco alle torri gemelle a New York, ndr) abbia fatto riferimento alla “scuola” creata negli anni ’80 in Marocco dalla Cia e dal Mossad in collaborazione con i servizi locali, i cui membri erano specializzati nell’infiltrazione nei gruppi islamisti per sostenere la resistenza afghana nella sua lotta contro l’Unione sovietica…”, “Eppure quella scuola è stata frequentata da centinaia di persone e ognuno di loro sarebbe stato in grado di convincere altri a portare avanti gli attacchi in America. Potrebbe essersi trattato anche di una manipolazione. Che (gli autori dell’attentato ndr) potessero essere convinti di fare qualcosa di buono mentre invece erano manipolati da qualcun altro…”.
Viva impressione ha suscitato in Libano la pubblicazione sul quotidiano “Daily Star” e su gran parte dei giornali del paese di una lunga intervista nella quale Anis Naccache, vecchio amico e compagno di lotta di Ilich Ramirez Sanchez, più noto come “Carlos the Jackal” (attualmente nelle carceri francesi) ha commentato i possibili retroscena degli attacchi a New York e Washington. Soprattutto per le rivelazioni sull’esistenza della “scuola” Cia-Mossad in Marocco per gli afghani, sconosciuta ai più, che hanno riportato l’attenzione dei giornalisti investigativi sui possibili legami, almeno originariamente, tra servizi americani e israeliani e islamisti afghani radicali. Una ipotesi, accanto a tante altre, accreditata però dall’autorità e dall’esperienza di Naccache nel mondo oscuro e complesso della “guerra sporca” in Medioriente: Naccache partecipò in prima persona con Carlos al sequestro in Sudan nel 1975 dei ministri degli esteri dell’Opec per poi passare nelle fila del Fronte popolare di liberazione della Palestina dove avrebbe collaborato con Wadi Haddad, il pediatra allora cinquantenne, grande maestro dei dirottamenti aerei degli anni settanta e dell’attacco all’aeroporto di Lod (Tel Aviv). Figura assai complessa, Wadi Haddad, istruito, dalla vita estremamente frugale, che univa la mancanza di scrupoli nei confronti dei suoi nemici con una profonda religiosità, al punto da chiedere sempre ai suoi uomini di passaggio per Roma di accendere una candela a San Pietro e di pregare per il successo delle “operazioni” da lui considerate come l’unico modo per convincere il mondo ad occuparsi della tragedia palestinese. Successivamente Naccache venne arrestato a Parigi nel 1980 dopo un fallito tentativo di uccidere per conto dei servizi iraniani l’ex primo ministro, Shahpour Bakhtiar, accusato di tramare contro il nuovo governo di Tehran. Condannato all’ergastolo per l’uccisione di un poliziotto e di una passante Naccache venne liberato dieci anni dopo in cambio degli ostaggi francesi in Libano. In realtà, come ammette nel corso della lunga intervista l’ex terrorista, Anis Naccache sarebbe stato una sorta di infiltrato di Fatah ed in particolare del capo militare dell’organizzazione, Abu Jihad, nel gruppo di Carlos con il compito di evitare, se possibile, atti irreparabili nei confronti dei sauditi e degli americani. In questo senso Anis Naccache sarebbe riuscito a convincere Carlos a non uccidere durante l’operazione in Sudan, il ministro saudita del petrolio sheik Yamani, e nel 1974 avrebbe invece salvato la vita all’a
mbasciatore americano a Beirut George Godley, e ad un addetto militare francese. Forte della sua esperienza Naccache sostiene nella intervista al “Daily Star” che l’operazione di New York e Washington sarebbe stata “più facile che costruire un’autobomba dal momento in questo secondo caso devi avere l’esplosivo, i fili elettrici e i meccanismi di innesco, devi portare l’auto sull’obbiettivo… invece loro hanno trovato tutto sul posto” e ancora “Non c’era alcuna logistica particolare, ma solamente della gente pronta a morire. Alcuni di sicuro erano piloti con una certa esperienza dal momento che non si trattava di far cadere l’aereo da qualche parte ma di centrare un obbiettivo preciso”. Anis Naccache è inoltre molto scettico sulla crociata di Bush contro il terrorismo internazionale: “Non significa nulla. Prima c’è stata la “guerra alla droga” ma non hanno trovato alcuna soluzione … terrorismo per me è sinonimo di violenza e la violenza può essere usata per una causa giusta o per una causa sbagliata. Se sei da questa parte definirai la tua violenza come giusta ma se sei dall’altra parlerai di terroristi…”. E ancora “E’ un problema di prospettiva. E non c’è soluzione militare. Di solito la violenza ha le sue origini in qualche problema politico e questi possono essere risolti solamente trovando soluzioni politiche”. Ma agli Usa, secondo l’ex socio di Carlos, non importa risolvere quei problemi alla base del terrorismo ma solamente imporre al mondo la loro volontà. Un progetto che avrà gravi ripercussioni e che porterà ad un moltiplicarsi degli attacchi come quello alle torri gemelle, “La violenza nel mondo -continua Ani Naccache-cambierà profondamente. Quando Bush finirà la sua guerra e gli Usa saranno diventati ancor più una iperpotenza emergeranno nuove idee per combattere il potere. E molti invece di combattere in Cecenia, nei Balcani, in Somalia o in Afghanistan, decideranno di combattere gli Stati uniti ovunque e ancor più sul loro stesso territorio”. Quindi la crociata contro il terrorismo avrebbe effetti esattamenti opposti a quelli previsti. Parola di qualcuno che se ne intende.