La notizia circola da un paio di giorni, unica fonte un giornale del Kuweit: giovedì il segretario generale del partito libanese Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, è arivato nella capitale siriana Damasco per incontrare il presidente Bashar al Assad e il capo del Consiglio di sicurezza nazionale iraniano, Ali Larijani. Non ci sono conferme ufficiali alla notizia (ripresa ieri da alcuni media internazionali e in Israele dal giornale Haaretz).
Secondo il giornale kuweitiano al-Seyassah, che ha posizioni violentemente antisiriane, Nasrallah è arrivato a Damasco in abiti civili, su un’auto dei servizi siriani; scopo della riunione era discutere come mantenere i rifornimenti di armi agli Hezbollah. Le agenzie iraniane Mehr, Fars e Ilna (semiufficiali) scrivevano giovedì che Larijani era a Damasco per colloqui sulla crisi libanese, ma senza altri dettagli.
Fin dai primi giorni della crisi, la Siria e soprattutto l’Iran sono stati indicati come la vera forza dietro agli Hezbollah del Libano – anche se nell’ultima settimana la diplomazia occidentale ha lavorato per «separare» Damasco da Tehran. Molti in Israele (e negli Stati uniti) hanno ipotizzato che il rapimento dei due soldati israeliani da parte di Hezbollah sia stato architettato dall’Iran per distogliere l’attenzione del mondo (e del G8) dal contenzioso nucleare. Nasrallah ha dichiarato il 20 luglio a Al Jazeera che né Siria, né Iran erano informati del piano di rapire soldati israeliani per chiedere uno scambio di prigionieri, ma nessuno gli ha dato credito. Memri, un centro che traduce e analizza la stampa araba e iraniana (diretto da un ex dirigente dei servizi della difesa israeliana) ha scritto che Israele è caduta in una «trappola» iraniana. E però, non è chiaro quale vantaggio trarrebbe l’Iran esponendo Hezbollah alla schiacciante risposta militare israeliana.
Che l’Iran abbia aiutato la creazione del Hezbollah nell’82 è noto e incontestato, e anche che continui a sostenerli (Tehran dice che si tratta solo di appoggio politico). Ma in questi giorni molti in occidente avvertono che vedere la milizia libanese come una forza «telecomandata» sarebbe semplicistico (il Centre for Strategic and International Studies di Washington sostiene che è irrealistico pensare che l’Iran controlli gli Hezbollah e che questi non abbiano capacità decisionale propria). Le dichiarazioni che rimbalzano dall’Iran sono come sempre «colorite» e oltranziste: il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad ha detto che Israele, attaccando il Libano, ha «schiacciato il bottone della sua auto-distruzione», e aveva minacciato rappresaglie se Israele dovesse attaccare la Siria.
Ma giorni fa il capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, maggiore generale Sayyed Hassan Firuzabadi, ha dichiarato che l’Iran non entrerà mai «militarmente» nell’attuale conflitto mediorientale, e da Tehran sono venuti segni di disponibilità a partecipare alla ricerca di una soluzione politica.
Trita Parsi, esperta di medioriente alla John Hopkins University, fa notare che Israele vede l’Iran come il maggiore rivale strategico nella regione e vuole indebolirlo: l’attacco al Libano, ha dichiarato alla Bbc, può essere visto come un «attacco preventivo all’Iran». Schiacciando la forza militare degli Hezbollah, obiettivo dichiarato dell’offensiva, Israele vuole dare un segnale a Tehran, e indebolirne l’influenza nella regione.