Il dibattito di questi giorni sul nostro giornale, anche in prospettiva congressuale, assume sempre più importanza ed è senza dubbio, ricco di spunti di riflessione necessari ad una discussione che dovrà concludersi con risvolti positivi e costruttivi per il nostro partito. Anche per questo è meglio evitare le risse, per lo più incomprensibili alla maggioranza dei militanti e dei lettori di Liberazione. Uno dei temi in discussione, investe il modello di “protezione” che il movimento dovrà darsi in occasione delle prossime uscite in piazza nella contestazione alla globalizzazione capitalista. Penso che il tema non possa essere disgiunto dall’analisi politica della fase e della posta in gioco. Il precipitarsi sulla scena politica mondiale di un movimento di queste proporzioni, ha messo in crisi la certezza dell’immunità e impunità del sistema, perché lo colpisce sul terreno culturale, ne spezza l’egemonia e fa, dopo decenni di apatia, ripartire il pensiero critico delle coscienze dei singoli individui. Questa è l’unica “arma” che temono, perché costruisce opposizione di massa pacifica e non violenta, sanno che la maggioranza di “disperati” della terra, insieme a quella prodotta (dal sistema) nei paesi industrializzati, se prende “coscienza” per loro è la fine. Da qui la violenta repressione, accompagnata da ampie e massicce dosi di disinformazione circa la natura destabilizzante e violenta del movimento. Ma se il quadro è quello internazionale allora il punto della violenta repressione vista e subita in piazza a Genova, che ha marcato l’orrendo salto qualitativo, non è una semplice risposta locale (nazionale) ma più semplicemente il braccio armato operativo di protezione del sistema globale. Se quello che affermo è vero quello che è successo a Genova con il governo di centrodestra, sarebbe successo anche con il governo di centrosinistra, del resto l’opera di macelleria si era già vista a Napoli quando ministro dell’Interno era Enzo Bianco. Non è quindi il colore del governo nazionale ad esaltare la repressione violenta, certo Fini e i suoi camerati ci hanno messo la loro “passione” ma la struttura del comando è sovranazionale. La stessa “notte cilena” e il “lager” di Bolzaneto si spiegano solo come opera di intimidazione ed espressione di potenza distruttrice, altrimenti che senso avrebbero?
No alla militarizzazione.
Se l’obiettivo è la distruzione fisica del movimento nei modi e nelle proporzioni viste in crescendo in questi anni, se si pensa di affrontare il problema sullo stesso terreno, non resta che la militarizzazione del movimento stesso. Voglio dire, che se ti sparano lacrimogeni dagli elicotteri o da motovedette sul mare o ci vai con una “mitraglietta” o non c’è servizio d’ordine che tenga. Ma la militarizzazione del movimento è quello che vogliono, per colpirlo più agevolmente con il consenso dell’opinione pubblica, annientandolo rapidamente e in modo definitivo, la stessa opera di criminalizzazione con bombe connesse sta dentro questa logica. In questo contesto Rifondazione comunista diventa il soggetto politico “connivente” e quindi in fondo, la forza politica da colpire direttamente e, mi pare evidentissimo, gli interessi a distruggerci sono presenti sia nella destra politica sia in quella economica, ma anche in vasti settori del centrosinistra, dove da sempre annidano spinte da “unità nazionale”. Il terreno dello scontro di piazza e le stesse modalità sono scelte da loro, noi, a mio giudizio, dobbiamo agire per togliere ogni pretesto allo scatenarsi della loro azione repressiva, sarebbe mortale (in senso anche fisico) per il movimento scendere sul terreno militare. Il servizio d’ordine non può andare “oltre” a quello che avevamo in piazza, possiamo migliorare l’efficienza della sua azione di controllo e di governo del corteo, ma deve mantenere la sua caratteristica di smilitarizzazione. Dobbiamo insistere, in uno stato di diritto, civile e democratico il compito di difendere i cittadini pacifici che manifestano il loro dissenso, spetta alle forze dell’ordine e nessun altro.
Nuove forme di protesta.
Al contrario dobbiamo contribuire, nel movimento, a trovare nuove forme organizzate di protesta di massa capaci di sottrarsi alla devastazione dell’azione repressiva. Mi è capitato, come segretario regionale ligure del Prc, di polemizzare con Casarini, per la sua dichiarazione di guerra fatta a palazzo Ducale prima del G8, ne avevo capito il senso e ne condividevo persino lo spirito antagonista, ma visto il clima di criminalizzazione già crescente, mi sembrava controproducente alla stessa crescita del movimento. Casarini su questo ha fatto autocritica, trovo che sia onesta e condivisibile, mi sembra inutile polemizzare con lui su questo terreno a meno che non sia strumentale come fanno molti esponenti Ds, da Violante a Bersani. Mi sembra invece, fondamentale ed importante discutere delle nuove forme di partecipazione alla protesta, terreno che lo stesso Casarini pone al centro del dibattito. Penso che la straordinarietà di questo movimento sta nel fatto che una nuova generazione di giovani scende in campo da protagonista della politica e chiede a tutta la politica, ma a noi in particolare, non risposte preconfezionate ma discussione e contributi significativi. Ci chiedono un rapporto alla pari, e noi dobbiamo rispondere positivamente. Lo sforzo messo in campo da quelle parti del movimento che avrebbero potuto rispondere, violentemente alle provocazioni dei “neri” e delle forze dell’ordine, e che per scelta politica non lo hanno fatto, come rilevato da Piero Sansonetti sull’Unità, dimostra una maturità e una analisi politica niente affatto rozza come qualcuno sosteneva. La spinta alla violenza su cui vorrebbero trascinarci, se raccolta anche per “legittima difesa” uccide la crescita del movimento e rischia di regalare migliaia di giovani ad una lotta senza sbocchi e prospettive, sarebbe il trionfo della linea politica dei potenti, che hanno nel Dna la violenza come metodo di arricchimento e protezione del loro “status”, sono i guerrafondai del G8, i servizi segreti deviati depistatori e stragisti, la Cia, la Nato, il Wto, il Fmi, la Bm e tutti gli organismi illegittimi a loro collegati. Contro la loro forza e violenza serve l’intelligenza e la razionalità delle azioni pacifiche e anche della disobbedienza civile, è questo il terreno sui cui sfidarli e poter vincere. Dobbiamo da subito uscire dalla morsa della discussione sul terreno militare e dell’ordine pubblico, rilanciando i temi del dibattito politico sul merito dei contenuti che prima noi, adesso insieme al Gsf e domani con tutti gli altri social forum in via di formazione, avevamo e poniamo all’attenzione dell’opinione pubblica. Il vertice Nato di Napoli dobbiamo avere la forza di farlo annullare non perché è una questione di ordine pubblico, ma perché è ignobile ed immorale. Mentre miliardi di persone muoiono di fame con un dollaro al giorno, i signori della guerra si riuniscono per decidere di spendere centinaia di migliaia di miliardi di dollari per costruire uno scudo militare spaziale e prevedere qualche altra “guerra umanitaria” per far aumentare e mantenere le incredibili spese militari dei rispettivi governi. Da qui passa l’opposizione al governo Berlusconi, unico ad avere già aderito allo scudo stellare di Bush. Il centrosinistra nicchia? Il Ds non sarà in piazza? Ovvio, il gruppo dirigente è interno al sistema, non potrebbe essere diversamente.
Parliamo dei contenuti.
Lo sforzo sul terreno dei contenuti, apre le contraddizioni di quel che resta del corpo militante del centrosinistra e ne intacca la visione idilliaca che gli hanno propinato in questi anni, possiamo e dobbiamo agire in queste contraddizioni, ad esempio sui temi dei diritti e del lavoro. L’apertura del conflitto sul contratto dei metalmeccanici, pone l’accento non tanto su quelle quattro lire di aumento, ma sulla definitiva sconfitta della stessa contrattazione collettiva. La risposta della Fiom che rimette in gioco la stessa questione dei diritti, ivi compreso il referendum sui contratti, rompe la pratica concertativa e rilancia l’autonomia e la lotta dei lavoratori. Il Gsf, seppure attraversato da diverse culture e storie politiche e sociali, questo lo ha capito ed è pronto ad investire sulla lotta dei lavoratori metalmeccanici. Ma perché fa finta di non capirlo l’intera Cgil? Se in occasione dello sciopero nazionale dei metalmeccanici con manifestazione a Roma, ci fosse la proclamazione dello sciopero generale di tutte le categorie, non solo si riaprirebbe una stagione di solidarietà tra i lavoratori dei diversi comparti (tra l’altro molti dei quali interessati ai loro rinnovi contrattuali), ma si darebbe un chiaro segnale ai signori della terra, specie quelli nostrani, sul fatto che la loro pacchia è finita. Nella mia esperienza con il Gsf, ho potuto constatare come ci sia un grado di comprensione diffusa tra i giovani e nelle varie anime della posta in gioco, compresa quella che riguarda il destino dei lavoratori e vi posso testimoniare come nelle questioni sociali, tra gli stessi movimenti cattolici ci sia un interesse e una radicalità persino sorprendente. Penso che questo movimento, così tanto cercato ed evocato adesso che c’è, sia una straordinaria occasione di crescita alternativa di società, noi non possiamo che guadagnarci da un rapporto corretto e costruttivo, aperto a recepire e a dare, tra soggetti uguali di uguale dignità disponibilità ad una contaminazione reciproca. Questa è la strada giusta, nonostante le difficoltà, la repressione poliziesca, le defezioni di un pezzo della sinistra seppur moderata. Per la prima volta da 10 anni a questa parte guardo al futuro con un pizzico di ottimismo.