E’ veramente stupefacente che a soli nove mesi dallo storico successo referendario del 25-26 giugno 2006, con cui veniva “confermata” la Costituzione repubblicana del ’47 attraverso una straordinaria partecipazione popolare senza precedenti in tutta la storia repubblicana, si prospetti l’ennesimo confronto con un proposito governativo di mettere mano alle istituzioni (Legge elettorale e Costituzione); nella fattispecie, si noti, in palese contrasto con il programma elettorale sottoposto agli elettori.
In perfetta continuità con tutti i governi dal 1992 ad oggi, l’attuale esecutivo ha deciso di ammantare, dopo una quindicina di giorni di crisi sulla politica estera e sulla guerra, la riforma della Costituzione quale panacea della risoluzione dei nodi politici e culturali del paese, collocandola senza alcuna discussione in un “dodecalogo” redatto dal presidente del consiglio che, se non fosse vero, nel senso di indicativo di una nuova linea di azione politica governativa, sarebbe da considerare un improbabile e ridotto Bignami di un altro programma di governo.
Eppure sia le premesse, il programma dell’Unione (innalzamento dei quorum dell’art.138 e settorialità, puntualità delle proposte di modifica), sia la vittoria referendaria, giustificavano un approccio in controtendenza rispetto al recente passato contrassegnato da un doloso attacco alla democrazia costituzionale; un approccio che rilanciasse la Costituzione nella sua interezza com’era uscita dal referendum, e il tipo di democrazia parlamentare da essa prefigurata riassumibile in un mix di rappresentanza (istituzionale) e partecipazione, attraverso i molti soggetti (i partiti in primis, ma anche le molte associazioni, i movimenti, gli individui che avevano appoggiato il preannunciato cambio di registro nella guida della cosa pubblica, i poteri e diritti, singoli e collettivi, diffusi) riconosciuti, valorizzati e garantiti all’interno dello stesso quadro costituzionale.
Ma infine è sconcertante che sul delicato tema della Costituzione e dei suoi eventuali e legittimi adeguamenti emendativi, non vi è una differenza tra la gran parte delle forze politiche parlamentari dei due schieramenti: in entrambi sono moltissimi gli incontinenti “riformatori” affascinati dall’ingegneria costituzionale spesso sganciata dalla storia politica del paese, che però tenacemente avversano una riforma della politica e delle primarie “istituzioni” della democrazia politica, a cominciare dalla natura e funzione di quelle particolari associazioni di cittadini, i partiti politici previsti dall’art.49 della Costituzione, progressivamente sempre più lontani dalla vita reale (società civile e politica) e dai loro territori.
Il ritornello del necessario rafforzamento dei poteri del “premier”, istituto bocciato senza appello, sebbene in una sua formulazione estrema e rozza, col referendum costituzionale del giugno 2006, e la riproposizione forzata di una di per sé ragionevole differenziazione dei due rami del parlamento, all’inizio di una legislatura contrassegnata dalla vittoria referendaria della Costituzione e con essa di tutto il popolo italiano, ci pare il segno indelebile dell’accentuarsi della crisi della politica italiana, che non sarà certamente risolta, bensì acutizzata, da propositi sbagliati nei tempi, nei modi e in parte nei contenuti, di modifica costituzionale.
L’intento di riformare la legge elettorale, nell’attuale momento politico, costituiva di per sé un programma ambizioso, ma realistico; volerci aggiungere, sebbene con metodo costituzionalmente più corretto rispetto al recente passato, dei distinti disegni di legge costituzionale per riformare l’istituto del presidente del consiglio e del bicameralismo, sa tanto di rilancio politicista da parte di un governo che ha bisogno di sopravvivere.
A questo punto riteniamo di fondamentale importanza che tutte le soggettività, già attive nella raccolta delle firme, prima, e successivamente nella campagna referendaria culminata con la vittoria dei NO del 25-26 giugno 2006, ri-accordino velocemente le loro voci e azioni al fine di correggere l’ennesima deriva italiana sulla Costituzione, cominciando, per esempio, col raccogliere le firme necessarie per la presentazione di un progetto di Legge costituzionale, di inziativa popolare, ex art.50 Costituzione, che si proponga di mettere in sicurezza la Carta attraverso l’innalzamento dei quorum (dalla maggioranza assoluta ai 2/3) previsti per la sua modifica dall’art.138 della Costituzione.
Non chiediamo la luna, ma soltanto la sacrosanta difesa del voto referendario, peraltro fatto proprio, all’unanimità, da tutte le forze politiche del centro-sinistra, ed inserito pomposamente al primo punto del ponderosissimo programma di governo dell’Unione.
* Coordinatore del Comitato fiorentino per la difesa della Costituzione