Scampata la caduta del governo Prodi, si stringono i nodi su cruciali questioni politiche – subito l’Afghanistan, poi i «tavoli» su lavoro e pensioni, e la legge sui Dico. Ne discutiamo con Cesare Salvi, leader di Socialismo 2000, componente di quella «sinistra Ds» che oggi oggetto del desiderio di molti, da Bertinotti a una parte dei socialisti che stanno cercando di ricostruire una «casa» comune.
Sulla crisi di governo e sua risoluzione, ci si è concentrati molto sui «numeri» o sui «colpevoli». Mi pare che l’invito di Fausto Bertinotti a ricostruire una sinistra che faccia «massa critica», non dissimilmente da ciò che Rossanda ha scritto sul ‘manifesto’, proponga di guardare un po’ oltre, ai processi reali sottesi alla crisi.
Se non ho capito male, provo a dirlo con parole mie: come mai gli elettori di centrosinistra, ma non solo loro, sono «più a sinistra» della loro rappresentanza politica? I sondaggi vanno sempre presi con misura, ma ne risulta che la maggioranza degli italiani di qualsiasi orientamento sono per il ritiro dall’Afghanistan, a favore delle unioni civili, chiedono di combattere il precariato…Il problema che si pone è quello di una sinistra che sappia dare rappresentanza, non minoritaria, non ideologica, ma concreta e seria alle posizioni prevalenti nell’elettorato di centrosinistra e talvolta nel paese. E per realizzare questo obiettivo il primo compito per noi della Sinistra Ds è cercare di impedire che si realizzi il progetto del Partito democratico.
In realtà il Pd pare in accelerata costruzione, e Rutelli ne ribadisce la natura «di centro». Che c’è da aspettare? O per il momento voi pensate al da farsi dentro il vostro partito, poi si vedrà…
No. La nostra battaglia contro questo esito politicamente centrista e socialmente moderato, proprio dopo l’ultima «accelerazione» ha il tempo di poche settimane, se non giorni. Poi io condivido pienamente ciò che ha detto Fabio Mussi: non ci sto a fare la sinistra del Partito democratico. Perciò l’appello di Bertinotti ha indubbiamente una forte novità, così come la risposta del segretario del Pdci Diliberto, rispetto al dibattito di questi anni. Secondo noi serve un grande soggetto politico unitario della sinistra, in cui si ricompongano tradizioni provenienti dallo stesso partito socialista, e dal partito comunista, perché le divisioni degli anni ’90 erano legate alla contingenza politica di quell’epoca del dopo-muro. Oggi, i problemi mondiali della globalizzazione del capitlae, il riflesso in Europa con la ridiscussione sul trattato costituzionale, in Italia con i compiti di governo nel momento in cui per la prima volta nella nostra storia vi è approdata tutta la sinistra, richiedono di pensare al futuro e squadernano l’esigenza di una grande sinistra per la quale ciascuno sia disponibile a rimettere in discussione le sue bandierine.
La sinistra Ds è sempre più ambita. Bertinotti esclude una architettura «organizzativistica», dubque sembra eleggere a interlocutori ideali voi, che non avete un partito da buttare sul piatto, mentre Diliberto deve vedersela con l’«identità» del Pdci. Non a caso vi chiama anche una parte dei socialisti che ridiscutono di «casa comune» …
Noi, effettivamente, abbiamo un’interlocuzione aperta anche con il campo socialista. Credo che nell’attenzione riservataci ci sia un riconoscimento della coerenza di una battaglia: senza voler enfatizzare la nostra rilevanza, siamo in una posizione di crocevia e cercheremo di fare la nostra parte per non deludere chi ritiene che il nostro ruolo possa essere significativo in questa fase.
Ma intanto stringono i problemi del governo, e la proposta che Prodi possa cercare di volta in volta i consensi che gli occorrono in parlamento con «maggioranze variabili», sostenuta con forza anche da Amato, non configura una sorta di maggioranza ‘à la carte’, a danno di una strategia politica?
Per la verità, che Prodi su materie considerate essenziali per la sua politica ponga la questione della fiducia, ma che su alcuni temi si affidi al dibattito alle camere mi pare una proficua rivalutazione del parlamento dopo l’ebbrezza ‘maggioritaria’ degli anni passati. Anzi, noi abbiamo sofferto nelle settimane scorse per questa volontà di avere insieme una maggioranza autosufficiente e una larga convergenza, la botte piena e la moglie ubriaca.
Certo, il problema vero è quello di una maggioranza politica, che non si misura però solo dentro il parlamento ma, ripeto, su ciò che sa rispondere alle domande degli elettori e del paese, perché un governo che perde nei suoi primi mesi il 15% dei consensi è troppo debole ben aldilà dei numeri al senato.
Ebbene, la discussione sui Dico sta iniziando ma incombe quella sulla guerra, un ‘tema’ che deborda dalle aule parlamentari. Rifinanziare la missione nell’Afghanistan, probabile imminente teatro di una nuova «guerra preventiva», pone un problema di giudizio politico. Persino Scalfari, nell’omelia domenicale, avanza dubbi.
Io ho già votato in passato contro questa missione, che pure era diversa dall’Iraq, proprio temendo trasformazioni future. In più, queste guerre non più fra stati implicano un pesante sacrificio di civili. Oggi, mentre riconosco la «discontinuità» introdotta da D’Alema rispetto al servilismo a Bush del governo Berlusconi, penso che va valutato il mutare degli eventi e proposta una posizione comune di tutta la sinistra.