«Una manganellata speciale da “fuoco amico”»

Difficile “sbolognarlo”. Si è preso una bastonata bella tosta proprio in testa, è svenuto sulla pubblica piazza e alla conferenza stampa di Rifondazione si presenta col “collarino” ortopedico che i medici dell’ospedale gli hanno imposto. Quando lo raggiungiamo al telefono, è alla sua quinta riunione della giornata; gliene toccano altre due, segreteria inclusa, un day after come un turbillon, giornalisti e televisioni che stazionano in federazione e apparizioni nei tg, collarino bianco su giacca marrone. Stanco, certo, e anche sofferente, perché le botte fanno male (persino ai comunisti); e anche sorpreso, fortemente sorpreso. In primo luogo, per la inaudita “matrice” della mazzata. «Nel programma del sindaco c’erano infatti tante cose, sicuramente non gli scontri e le manganellate», dice facendo dell’ironia. E in secondo luogo, per la “modalità” della suddetta mazzata. «Mi hanno infatti colpito alle spalle, vigliaccamente e gratuitamente» (cosa del tutto consona, dal momento che, come ha raccontato il manifesto, davanti al Municipio «poliziotti e carabinieri sbattono i manganelli a casaccio tra la folla»).
Ma tolto tutto ciò, per il resto, Tiziano Loreti, segretario Prc bolognese, è sempre lo stesso, non è cambiato di un’ombra. «Noi siamo determinati, andiamo avanti». Non è la sua prima volta, poi. Nemmeno in fatto di bastonate poliziesche. «La prima volta ero piccolo, si e no diciassette anni. Poi, le beccai durante una manifestazione sindacale; e altre volte ancora, devo avere la manganellata nel mio dna», dice prendendosi un po’ in giro. «Però questa ultima è una manganellata speciale, quella che non avresti mai creduto di doverti prendere». Diciamo “fuoco amico”.

Francamente non è la sua prima volta nemmeno in fatto di Sfide Del Terzo Tipo. Anzi è proprio recidivo. E’ sempre quel Tiziano lì, quello del 1999. Un anno calamitoso, gonfio di presagi, lampi e scricchiolii. Quando l’infelice esecutivo D’Alema già traballa di brutto e Liberazione per esempio non è particolarmente benevola («Il governo è cotto», «Il governo in apnea», «Verso un secondo governo D’Alema, quello della «geometria variabile»): sotto tiro la politica economica, quella dell’indimenticato «più Amato». Poi ecco una notizia che i giornali non mancano di riprendere: in quel di Bologna, «Rifondazione dice no a Parisi. Per il seggio lasciato libero da Prodi candiderà un operaio». Bella sorpresa.

E’ intorno alla metà di ottobre di quel ’99 e un Prodi corrucciato ha infatti lasciato il suo posto alla Camera e scelto lo scranno di presidente della Commissione europea. E’ quindi in palio la conquista del seggio ora vacante, il famoso Collegio 12, quello dove il Prof, desistenza imperando, era uscito trionfante con non meno del 60 per cento dei voti. A quel seggio l’intero centrosinistra bolognese, con la forza di un bulldozer, ha destinato Arturo Parisi, professore universitario, già dirigente dell’Azione cattolica nonché big dell’Ulivo sia uno che due, e soprattutto braccio destro di Prodi.

La comparsa dell’uomo di Rifondazione rompe le scatole. Scendono in campo i potentissimi Ds, si spende lo stesso segretario provinciale Mauro Zani, l’ex sindaco Renzo Imbeni invita il Prc a fare come il figliol prodigo pentito che torna a casa e soprattutto buono buono deposita i suoi voti. Si aggira un spettro che si chiama “voto utile”, uno spettro maligno e ricattatore. Nella sua conferenza stampa l’allora segretario provinciale Roberto Sconciaforni lo manda a quel paese, il voto utile, ribadendo il no di Rifondazione, peraltro ampiamente motivato dal diktat prodiano («mai col Prc») e dalla deriva moderata della Quercia cittadina.

Cofferati è diventato un caso “nazionale”, tale il pressoché unanime giudizio sulla vicenda di questi giorni. Ma anche allora lo fu. Il Collegio 12 diventa proprio un caso nazionale e addirittura simbolico – «se cade il Collegio 12 cade il governo» -; una scelta schiera cala a dar man forte a Parisi, da D’Alema a Veltroni, Cacciari, Di Pietro, Prodi in persona manda un lettera a 40 mila elettori. E’ il ’99 ed è già accaduto l’impossibile, Guazzaloca è diventato sindaco e decapitato il sin lì intoccabile predominio comunista; perciò, proprio lì, nel Collegio 12, i Ds inseguono un sogno di rivincita.

Ma anche lo schieramento di centrodestra è in campo per il Collegio 12, a caccia di un’ambita riconferma; Fi, An, Ccd, Cdu più una lista civica lanciano un nome di peso, Sante Tura, un professorone, un ematologo di fama.

In mezzo a tutto questo c’è lui, Tiziano Loreti. Chi era costui? Quarantacinque anni, operaio metalmeccanico, comunista. La sua biografia è altisonante, doc. Bolognese figlio di bolognesi, famiglia operaia, padre partigiano (e partigiana pure la nonna Altea, che «nascondeva le armi nella cesta del pane»), Fgci, delegato sindacale Fiom, movimento ’77, Rifondazione. Sposato, tre figli, moglie impiegata, appartamento di tre stanze a San Donato, uno dei quartieri più popolari di Bologna. Con tranquilla forza, lui accetta la competizione, temerariamente, allegramente impari. Gli altri hanno tutto: comitati elettorali dentro lussuosi palazzi, e soldi, e sponsor, e bus e macchine; lui non ha niente, né comitato elettorale, né bus, né sponsor, né macchine; ha solo il suo banchetto dove ha raccolto il doppio delle firme necessarie, l’appoggio dei sindacati di base, lo slogan di Rifondazione (“Il voto utile è il nostro, il voto a sinistra”). La sua campagna elettorale la fa nel tempo libero, dopo il lavoro in fabbrica. Il suo budget elettorale è di due milioni e mezzo.

Il seggio non l’ha conquistato, ovviamente, ma la sfida è stata giusta, dice. Che ho fatto dopo? Risponde con la solita semplicità e modestia. Ha continuato a lavorare nella stessa azienda, ha continuato a lottare nel sindacato, nel partito, nel movimento. «Insieme a tutti gli altri, come tutti gli altri». E come tutti gli altri, da volontario, conciliando l’attività politica con il lavoro quotidiano. «Ma ora mi sono messo in aspettativa». Ora fa il politico a tempo pieno: nel maggio di quest’anno è stato eletto infatti segretario provinciale.

Tiziano Loreti, «sempre in mezzo. Mai al centro».