Una generazione e non solo: anticorpi di un’umanità intera

Mentre si tentava di criminalizzare il movimento degli studenti, i singoli ragazzi e ragazze, scesi in piazza per reclamare il loro presente fatto di precarietà, di mercificazione e riappropriarsi del proprio destino, dando una riposta forte, anche alle banalizzazioni e generalizzazioni di Roberto Saviano, la classe dirigente ha dimostrato, ancora una volta, il carattere reazionario. Dopo il 14 dicembre, il movimento non si è fermato, anche in questi giorni si sono tenute le assemblee, l’attività con dibattiti, confronti e preparativi, tra sessioni d’esame e sedute di laurea. Oltre alla violenza (raccontata solo quella dai mass media), in piazza, vi erano le richieste di futuro dei giovani, dei precari per il lavoro, delle famiglie per il reddito e il salario che non arrivano più alla fine del mese, di chi non ha più le risorse per pagare un mutuo o un fitto.

Scuole e facoltà occupate, lezioni in strada, cortei in tutta Italia, hanno dimostrato di essere anticorpi di un’umanità intera. Hanno lanciato proposte, a sostegno di tutti gli studenti medi e universitari, della scuola e dell’università pubbliche, fondatrice di idee ed eccellenza per il bene del nostro paese, ma per farlo bisogna opporsi al DDL Gelmini, il quale non fa altro che privatizzare le università, precarizzare la ricerca e i ricercatori e rendere sempre più cupo il futuro dei giovani. Per tutte queste ragioni, la protesta non si fermata. L’urlo e lo sdegno nei confronti di un governo che taglia a scuola, università e ricerca, ma rafforza i gruppi di potere baronali, aumenta il precariato, peggiora ulteriormente i meccanismi di reclutamento e di avanzamento di carriera, accentua il localismo e riduce l’autonomia e la democrazia nell’Università. Il governo, invece, di ascoltare le ragioni della protesta degli studenti, la considera come un problema di ordine pubblico. Il Presidente Napolitano, intervenendo sulle manifestazioni degli studenti, invita a non ignorare “i sintomi del malessere” e si dice pronto a incontrare una rappresentanza degli studenti.

Da Bolzano a Palermo, passando per Venezia, Torino, Milano, Bologna, Messina, Catania e molte altre, questi gli slogan scanditi dai manifestanti: “La scuola è un bene comune. Studenti, precari, genitori in mobilitazione”, “Con questa riforma a scuola non si torna”, “Lotta – lotta – lotta, non ti fermare, il decreto si può fermare”. Una protesta intergenerazionale, multiforme, che mette insieme tutte le figure della scuola pubblica, dell’università e non solo. Utilizzando il web per raccontare le loro storie, diffondere analisi e progetti, organizzare manifestazioni e occupazioni, mettono in rete informazioni e conoscenze per pensare una scuola diversa. Come loro dicono: “andare avanti con la lotta in prossimità della chiusura di scuole e università spaventa il Governo che intende approvare, trascurando le condizioni tangibili di chi la crisi la subisce”.

Intanto il movimento ha fatto sentire la sua voce, con manifestazioni lontano dalla zona rossa e “flash mob” in tutte le città d’Italia. Mentre dentro i palazzi si pensa a come far passare, la riforma il più velocemente possibile, nel corso del corteo, improvvisazioni e blocchi del traffico, urlando: “Non ci troverete, dove ci cercate“.

La disoccupazione è all’8.7%, la più alta dal 2004, il dato principalmente riguarda i giovani: il 24,7%. Un Paese, ormai, avviato alla stagnazione economica e alla regressione. L’idea è quella, in cui i figli degli operai, non devono sognare di diventare dottori. La Gelmini compie l’opera di distruzione avviata dai suoi predecessori, Berlinguer, Zecchino e Moratti in primis. Unire tutte le soggettività politiche, sulla base di un percorso di crescita del fronte di opposizione, significa, sviluppare una coscienza, sulle contraddizioni strutturali del sistema, sulla necessità di opporsi a una logica di profitto, sulla critica all’automatismo antidemocratico di gestione delle vertenze politiche. La protesta deve raggiungere la legittimità e una credibilità, per costituire le basi stabili da cui partire per ampliare il dibattito, rafforzare il consenso e rendere comune le lotte. Unire le lotte per difendere i diritti, contro coloro, che agiscono solamente per difendere i poteri finanziari ed economici.

Nelle strade e nelle piazze, abbiamo visto la prova di democrazia, con una sola domanda: costruiamo l’alternativa. Per mandare via il governo, la politica dei faccendieri, c’è bisogno che torni la politica vera e di saper capire i bisogni e poi immaginare risposte pertinenti. Per ricostruire la possibilità di un’alternativa, abbiamo bisogno dello sciopero generale.