La Resistenza è stata lotta armata per cacciare tedeschi e fascisti ma anche una grande scuola di massa per preparare uomini e donne alla ricostruzione materiale e morale di un’Italia nuova anche rispetto a quella liberale e monarchica del prefascismo. Una scuola le cui materie fondamentali erano la partecipazione alle decisioni, la conoscenza e la difesa dei propri diritti, la scelta politica vissuta a cominciare dal voto, uno strumento che i più vecchi ricordavano appena e i più giovani non conoscevano.
Per le donne, poi, tutto questo faceva parte di un mondo sconosciuto ed estraneo, un aspetto di quella parte della vita maschile dalla quale erano escluse, anche se spesso ne subivano i contraccolpi. Le antifasciste militanti e i partiti della sinistra capirono molto presto la necessità di un lavoro specifico e di specifici strumenti per affrontare questo compito. Così nacquero a Milano, nel novembre del 1943, su iniziativa delle comuniste ma con lo stesso intento unitario che caratterizzava le Brigate Garibaldi e il Fronte della gioventù, i Gruppi di difesa della donna (Gdd) e i loro giornali clandestini, centrali e periferici: Noi donne (che diventerà organo dell’Unione donne italiane dopo la Liberazione), Parole di donne, La voce delle donne, La difesa della lavoratrice e altri ancora. Pur partecipando ai Gdd che rapidamente nascono in tutta l’Italia occupata e entrano di diritto nei Cln locali, le donne di altri partiti danno vita a loro pubblicazioni. Delle 42 testate presenti trenta sono dei Gdd, tre del Psiup, due di Giustizia e libertà, due del Partito d’azione, due della Democrazia cristiana, una del Partito liberale. A Legnano un gruppo di comunisti dissidenti pubblica Il quaderno della lavoratrice, a Lugano esce La voce delle donne dedicato a fuoriuscite e rifugiate, in Istria La donna istriana, in italiano e in croato, a cura del Fronte femminile antifascista.
Una vicenda poco nota ma senza la quale risulterebbe monca qualsiasi ricostruzione-rivisitazione della Resistenza e del dopoguerra, che Sara Galli (ricercatrice del Dipartimento discipline storiche dell’Università di Bologna) ci presenta nella sua Bibliografia della stampa femminile della Resistenza (editore Guerini e Associati, pp. 214, euro 20.00). Il titolo non deve scoraggiare i “non addetti ai lavori”: all’accuratissimo elenco delle testate, dei temi trattati, delle redattrici che si nascondono dietro gli pseudonimi della clandestinità, fanno da contrappunto un ampio saggio introduttivo e una serie di commenti che riportano chi legge nelle campagne e nelle città strette fra i bombardamenti alleati e le rappresaglie tedesche, assediate dal freddo e dalla fame, dove donne di tutte le età hanno dovuto affrontare, insieme al lavoro produttivo in sostituzione dei richiamati alle armi, la responsabilità di capi famiglia con il peso di bambini, anziani e spesso di qualche parente maschio da nascondere. Si trattava di chiamare quelle donne a un altro compito, difficile e pericoloso: costituire le retrovie dell’esercito partigiano, isolare i fascisti, far tacere l’amore e la paura nei confronti della scelta di clandestinità e combattimento fatta da mariti e figli.
Le democristiane e le liberali portano l’esempio delle eroine del Risorgimento, le compagne dei Gdd le prime storie di staffette e partigiane combattenti ma anche delle operaie scese in sciopero “per il pane e la pace”, delle popolane che affrontano tedeschi e fascisti per liberare gli arrestati, impedire le requisizioni di viveri, assaltare e saccheggiare i forni che panificano per l’invasore. E’ un appello alla difesa dei propri mariti e figli e dei loro compagni di lotta, alla mobilitazione per affrettare la fine della guerra alla quale, con sempre maggiore frequenza, si intrecciano le tematiche di emancipazione della donna in quanto tale. Prima di tutto il lavoro, che molte giovani operaie si accorgono di saper fare «come e a volte meglio degli uomini» – e sono poco inclini ad abbandonarlo a guerra finita – ma sul quale pesa una lunga e radicata tradizione clero-fascista che lo contrappone alla maternità e alla femminilità stessa.
Democristiane e liberali, i cui partiti sostengono un rigida divisione di ruoli, avvertono l’aria nuova che circola fra le lavoratrici e aggirano l’ostacolo presentando l’impegno fuori casa come sacrificio «per la necessità di aiutare la famiglia» mentre le militanti della sinistra lo rivendicano come diritto-dovere di ogni essere umano e preparano le donne a esigere servizi sociali che ne rendano effettivo il diritto come la parità salariale e l’accesso a tutte le carriere. Gisella Floreanini, ministro della repubblica partigiana dell’Ossola, sollecita, ad esempio, la partecipazione delle donne alla politica e Maria Cingolani Guidi, futura parlamentare Ds, scrive, con un intelligente escamotage, che è giusto «suscitare interesse per i grandi temi sociali e politici nella donna per completare la sua educazione e rendere più efficace la sua missione di madre, sposa, educatrice». Attraverso questi foglietti ciclostilati in case ospitali e diffusi nelle borse della spesa, Silvia Gelli ci fa ripercorrere il cammino che ha portato tante donne dal materno sostegno ai combattenti alla coscienza di sé come fruitrici di diritti e protagoniste di doveri nuovi e inediti. Non a caso una edizione ligure di Noi donne stampa sotto la testata il motto “Combattendo per la liberazione d’Italia le donne combattono per la loro libertà”.