Una fuga di cervelli verso l’Italia. Sprecata

Ammassati sulle spiagge, stremati dal caldo e dalla sete dopo un viaggio allucinante per mare, oppure in fila al freddo per ore e ore davanti agli uffici postali in attesa di compilare il modulo di regolarizzazione, per molti la sola opportunità di uscire allo scoperto e cambiare vita. Nelle città come sulle coste della Sicilia, sono questi gli immigrati irregolari che arrivano nel nostro Paese. Nell’ultimo mese l’isola di Lampedusa e le coste siciliane sono state raggiunte da qualche migliaio di persone: ancora barche stracariche, facce con gli occhi sgranati, e infine lunghe file verso le scalette degli aerei per il rimpatrio coatto.
Siamo abituati a vederli, ma non li conosciamo. Clandestini per definizione, vivono nascosti e silenziosamente svolgono mansioni umili, a volte degradanti, ma sempre più necessarie al benessere della nostra società avanzata. Sono queste le uniche informazioni certe sulla magmatica realtà del fenomeno migratorio in Italia. Fenomeno che però, osservato da vicino, rivela sfaccettature inattese. Ad esempio, gli immigrati irregolari in Italia sono istruiti, anche più degli italiani, e rappresentano un’occasione persa per le aziende. Lo spreco di capitale umano è una delle conseguenze insite nel fenomeno delle migrazioni di massa: questa la conclusione di uno studio condotto da Carlo Devillanova, docente di economia politica all’università Bocconi di Milano, e da Tommaso Frattini, professore all’University College di Londra. Gli autori sono riusciti a circoscrivere alcune caratteristiche di questo soggetto, l’immigrato clandestino, che per natura sfugge alle classificazioni; il campione analizzato riguarda circa diecimila immigrati che a partire dal 2001 si sono rivolti al Naga, un’associazione milanese che offre assistenza sanitaria gratuita agli irregolari. A ogni clandestino che bussa alla porta, i volontari del Naga propongono un questionario: le risposte hanno permesso agli autori di ricostruire nel dettaglio i profili personali e socioeconomici degli immigrati. Il ritratto dei clandestini che emerge da questa analisi presenta una prima sorpresa: gli irregolari hanno in media buone basi culturali. Con alcuni distinguo: come precisa Carlo Devillanova, «si tratta di informazioni fornite dagli stessi intervistati, che potrebbero avere una tendenza a sovrastimare il loro livello di istruzione: ad esempio, una persona che ha frequentato per due anni l’università può dire di aver concluso gli studi universitari. L’altro aspetto che consiglia prudenza – aggiunge Devillanova – è la comparabilità dei sistemi educativi dei Paesi di provenienza con quello italiano». In molte nazioni, infatti, i percorsi formativi sono più brevi e semplificati rispetto al sistema di istruzione – superiore e universitaria – del nostro Paese.
Fatte salve queste osservazioni, i dati emersi dall’analisi del campione fotografano in pieno la complessità del fenomeno. Intanto, gli immigrati clandestini in Italia provengono da tutte le aree del mondo: gli intervistati arrivano da oltre novanta Paesi, anche se esistono comunità più numerose di altre: Ecuador, Perù, Marocco, Egitto, Romania, Albania, Sri Lanka,Ucraina e Senegal da soli formano il 79% del campione. Per quanto riguarda l’istruzione, nella classe di età tra i 25 e i 64 anni il 41,1% degli intervistati dichiara di essere in possesso di un diploma di scuola superiore e il 12,1% di istruzione universitaria (totale 53,2%). Nella stessa fascia di età, secondo i dati Ocse, il 33% degli italiani ha il diploma di scuola superiore e il 10% la laurea (totale 43%). E inoltre, aggiunge Devillanova, «sappiamo che gli immigrati regolari presenti in Italia hanno un livello di istruzione ancora più alto: la scolarità degli immigrati nel loro complesso è, quindi, nettamente superiore a quella percepita».
Le donne sono in media più istruite degli uomini, con grandissime differenze tra i vari Paesi. Il grado di scolarizzazione è maggiore nei Paesi del Sudamerica e nell’Europa dell’est, mentre nell’Africa subsahariana si assiste a una forte polarizzazione: parecchi analfabeti contro un’elevata percentuale di laureati, niente vie di mezzo. In generale, secondo Devillanova, «c’è una grandissima eterogeneità tra generi, aree e Paesi all’interno di una stessa area. Ad esempio, gli egiziani del campione risultano in media molto più istruiti dei marocchini; questo in parte si spiega con il livello di scolarizzazione del Paese di origine, in parte è dovuto alle caratteristiche dei flussi migratori».
Ma per l’immigrato irregolare l’approdo in Italia non corrisponde alle aspettative di una vita migliore: l’alta scolarizzazione non si traduce quasi mai nello svolgimento di mansioni adeguate. I clandestini che si dichiarano occupati (solo il 54% del campione) svolgono lavori elementari: in testa le pulizie e i servizi di assistenza domestica (34,3%), poi gli impieghi in edilizia, il facchinaggio, l’agricoltura e il commercio ambulante. Stride il contrasto con l’occupazione in patria, dove solo il 15% degli immigrati dichiara di aver svolto lavori analoghi, mentre il 5% era insegnante o professore.
Risorse sciupate, intelligenze non valorizzate. Secondo gli autori dello studio, lo spreco di capitale umano insito nelle migrazioni si declina in due diversi aspetti: il brain drain e il brain waste.
Il primo è l’impoverimento culturale dei Paesi di origine, che si privano dei migliori cervelli: è accertato che a tentare il grande salto verso l’Europa sono i più istruiti. Il secondo aspetto è il conseguente mancato utilizzo di queste risorse umane qualificate nel Paese di destinazione. Un capitale, secondo Carlo Devillanova, che non viene utilizzato anche perché si tratta di immigrati irregolari, quindi invisibili, ed è «difficile che riescano a trovare impieghi gratificanti dalla loro posizione».
La fotografia della situazione non è clemente con il nostro Paese: «Il sistema produttivo italiano stenta ad assorbire capitale umano altamente qualificato», dice Devillanova. «Lo si evince anche dai tassi di disoccupazione e dai differenziali salariali in Italia rispetto ad altri Paesi sviluppati». I risultati dello studio, concludono gli autori, «mettono in dubbio anche l’eventuale efficacia di politiche di selezione degli immigrati, dal momento che il loro livello di istruzione è già alto, ma il tessuto produttivo italiano sembra poco interessato alle loro qualifiche».