Complessivamente, secondo il ministero delle finanze, nel 2003 gli italiani (40,5 milioni di persone fisiche) hanno denunciato al fisco redditi per poco più di 655 miliardi. Il reddito nazionale, però, in quell’anno era quasi il doppio. Risultato: in Italia c’è una gigantesca evasione fiscale. Che l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre (la Cgia) ha quantificato in circa 311 miliardi di imponibile, circa il 25% del prodotto lordo. Questo significa che ogni anno il fisco non riesce a mettere le mani su imposte pari a circa 150 miliardi di euro, 300 mila miliardi di lire. Secondo i calcoli della Cgia solo in termini di imposte (dirette, indirette e contributi) vengono sottratti all’erario tra i 125 e il 130 miliardi.
Se tutti pagassero, o evadessero un po’ meno, l’Italia non avrebbe più bisogno di manovre correttive o di finanziarie «lacrime e sangue» per stare dentro i parametri di Maastricht. Sarebbero disponibili risorse in abbondanza per rilanciare l’economia e il fisco potrebbe essere un po’ meno pesante.
La Cgia ha cercato di «mappare» il fenomeno (che definisce «triste») individuando quattro grandi aree di evasione/elusione fiscale: l’economia sommersa; l’evasione/elusione delle grandi imprese; quella dei lavoratori autonomi e dele piccole imprese; e, infine, l’evasione legata all’economia criminale.
Secondo gli artigiani di Mestre, la prima e più diffusa area riguarda l’economia sommersa per la quale l’Istat stima che vengano sottratti al fisco circa 200 miliardi di imponibile l’anno. L’esercito dei lavoratori in nero è composto da oltre 3 milioni di unità di lavoro standard e questo significa che i lavoratori in nero interessati sono molti di più. Secondo la circa 2,6 milioni sono lavoratori dipendenti che spesso fanno il secondo e il terzo lavoro.
La seconda area è quella composta dalle grandi società di capitali.Secondo i dati del ministero dell’economia il 50% di queste grandi società di capitali dichiara per più anni redditi negativi o pari a zero. Un altro 17%, invece, dichiara redditi inferiori ai 10 mila euro. Questo significa che su un totale di quasi 77o mila società di capitali il 50% non versa una lira al fisco, almeno per quanto riguarda le imposte sul reddito, l’ex Irpeg. Il ministero stima un’evasione/ elusione fiscale attorno ai 7 miliardi di euro.
Una terza area di evasione fiscale è quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, ricevute e fatture fiscali. La Cgia in questo caso appare abbastanza generosa visto che quantifica in appena 4 miliardi di euro l’anno (una cifra infinitamente più piccola di quella del lavoro dipendente)l’evasione di bottegai, professionisti, piccoli imprenditori e agricoltori che complessivamente sono poco meno di 4 milioni. Almeno a stare alle partite Iva.
A queste tre aree di evasione «classica» si aggiunge quella dell’economia criminale. Forse è improprio computarla con l’altra evasione, ma occorre tenere conto che le grandi organizzazioni mafiose controllano buone parte dell’economia in almeno 3 regioni del Mezzogiorno. La Cgia riportando i dati della Dia, la Direzione investigativa antimafia, stima il giro d’affari non contabilizzati attorno ai 100 miliardi di euro l’anno. Ma i condoni di Berlusconi e Tremonti non dovevano servire a riportare gli italiani sulla «retta via»?