Una discussione di merito, ma anche di metodo

Vi sono questioni di merito e di metodo sulle quali vorrei dire la mia relativamente all’articolo di Claudio Grassi del 5 agosto. Cominciamo da quelle di merito, anche se le critiche ed obiezioni di Grassi al movimento e, in buona sostanza alla linea del Prc, sono alquanto artificiali ed infondate. Innanzitutto Grassi si chiede cosa possa fare Rifondazione Comunista per connettere la lotta dei metalmeccanici e il movimento antiglobalizzazione visto che, sempre secondo Grassi, il movimento non capirebbe l’importanza della contraddizione capitale-lavoro. Forse Grassi non si è accorto che la Fiom fa parte del Genoa Social Forum, che quest’ultimo organismo ha parlato, con i suoi portavoce, dai palchi dei comizi il giorno dello sciopero dei metalmeccanici. O forse, ed è ben più probabile, Grassi non sa cosa sia un movimento e pensa che dentro il movimento il compito del nostro partito dovrebbe essere quello di cercare di inserire in qualche documento le paroline magiche “contraddizione capitale-lavoro”, oppure quello di polemizzare in modo astratto ed ideologico con associazioni e movimenti che sono nati ed agiscono su altre contraddizioni prodotte dal sistema. Esattamente come i partitini “marxisti leninisti” sempre pronti a scorgere vizi piccolo borghesi in tutti i movimenti e dediti a ripetere come pappagalli la litania della centralità della contraddizione capitale-lavoro. Bisogna proprio essere esterni a questo movimento per non vedere come le contraddizioni economiche generali prodotte dal capitalismo contemporaneo siano effettivamente al centro delle proteste e delle proposte del movimento! E passiamo alla “spettacolarizzazione” del movimento che secondo Grassi ha oscurato lo sciopero extraconfederale del 20. Anche qui forse Grassi non si è accorto che ad oscurare tutto e tutti è stato il proditorio attacco della polizia a tutte le piazze tematiche del Genoa Social Forum e il congegnale “permesso” al Black Bloc di devastare mezza città. Che poi i giornali e le televisioni siano dediti a descrivere il movimento come un problema di ordine pubblico e a concentrarsi più sull’assedio alla zona rossa che ai contenuti reali e politici delle proteste mi sembra pacifico, ma non mi pare si possa attribuire come colpa alle tute bianche e, non dimentichiamolo, ai Giovani Comunisti che sono da tempo protagonisti dell’esperienza della “disobbedienza civile”. Ma forse a Grassi sfugge l’importanza di questa esperienza capace di offrire una valida alternativa alle due vie classiche che si trova di fronte un movimento quando vengono negati spazi democratici: impotenza e cedimento oppure violenza e militarizzazione del movimento. O la militarizzazione di Genova, le cancellate erette e la stessa istituzione della zona rossa non costituiscono una sospensione di fatto delle libertà costituzionali contro la quale lottare? Vi è poi il tema della guerra e della solidarietà internazionale.
Guerre e soldiarietà Lasciamo stare la solidarietà internazionale perché stiamo parlando (ma bisogna proprio ricordarlo?) di un movimento che è esso stesso internazionale e che ha visto partecipare alle manifestazioni, e a Porto Alegre, gran parte dei movimenti rivoluzionari ai quali Grassi vorrebbe si esprimesse solidarietà, a cominciare dai curdi che marciavano in gran numero nello spezzone iniziale del corteo del 21. Sulla guerra, poi, sono d’accordo che vi sia poca consapevolezza della valenza strategica di questo tema intimamente connesso con la globalizzazione capitalistica. Ma non è assolutamente vero che dentro questo movimento vi sia alcuna ambiguità sulla guerra, tant’è vero che basta dare una scorsa alla lista delle organizzazioni italiane aderenti al GSF per scoprire che erano tutte indiscutibilmente schierate contro la guerra della Nato. Così come sfido Grassi a trovare qualcuno nel movimento che si dichiari a favore o indifferente sulla questione dello scudo spaziale. Certo noi saremmo fuori dal movimento (e dal mondo!) se trattassimo la questione della guerra con la categoria delle contraddizioni interimperialistiche! Ma questa è un’altra questione della quale, del resto, abbiamo discusso fin dal ’96, in diverse direzioni del partito e in un congresso, a quanto pare inutilmente. Infine vi è la questione del “servizio d’ordine”.
Il servizio d’ordine Se inteso nell’accezione classica del Pci e del sindacato io non posso che dichiararmi più che d’accordo. Esso, infatti, serve a organizzare la sfilata di un corteo in modo che tutti possano partecipare nel migliore dei modi. Ma se parliamo di un servizio d’ordine che deve proteggere una manifestazione dalle eventuali cariche della polizia allora bisogna sapere che andremmo inevitabilmente verso la militarizzazione del movimento. Il comportamento della polizia a Genova è stato quello, fra l’altro ben descritto dal segretario della Fiom sul manifesto giorni fa, di chi vuole scientemente attaccare tutte le manifestazioni pacifiche ed estendere il più possibile gli scontri. Una simile cosa in Italia non era mai successa. Il servizio d’ordine tradizionale del Pci o del sindacato, anche se ci fosse stato, e in parte c’era, nulla avrebbe potuto contro un simile atteggiamento della polizia. Ed eccoci alla questione di metodo. Grassi dice che l’articolo, suo e di Burgio, pubblicato dal manifesto alla vigilia delle manifestazioni a Genova era stato scritto dieci giorni prima. Interessante affermazione. Visto che nel corso di quei dieci giorni ci sono state due riunioni, una della segreteria nazionale ed una della direzione esattamente sui temi del movimento antiglobalizzazione e della gestione della piazza a Genova. Come mai Grassi non ha aperto bocca in nessuna di queste due riunioni per poi affidare al manifesto il suo contributo totalmente in contraddizione con il documento votato dalla direzione dell’11 luglio? A quale concezione del partito, leninista o meno, corrisponde questa pratica? Grassi sa benissimo che nel nostro partito le opinioni politiche sono rispettate e che quando qualcuno si trova in minoranza sulla linea o su una questione non c’è alcun divieto affinché possa renderlo pubblico. Ma la pratica di consentire, anche col silenzio o non partecipando al voto senza dichiararlo, negli organismi di direzione del partito per poi dissentire sulla stampa è un atto di rottura e di profonda slealtà. Della quale però, al contrario del compagno Giordano, non mi dichiaro “sconcertato”. Per il semplice motivo che ormai da lungo tempo denuncio, negli organismi dirigenti del partito, la pratica della corrente che fa capo a Grassi. Con una mano si sta nella maggioranza che regge la direzione del partito e con l’altra si boicotta la politica internazionale, si organizzano vere e proprie campagne per insinuare nel corpo militante del partito il sospetto che qualcuno voglia sciogliere o cambiare natura al partito, si gestiscono regionali e federazioni come feudi di corrente dove si pratica una linea diversa da quella decisa democraticamente negli organismi dirigenti nazionali. Penso che il Segretario del Partito abbia le sue responsabilità per aver lasciato marcire questo problema troppo a lungo. E’ fin troppo evidente che ora, a mio avviso, un chiarimento politico si rende necessario nel tempo del congresso. Sarebbe stato meglio per tutti pensarci prima.