Una concreta autonomia

C’è quasi un conflitto di interessi, tra la calda ovazione regalata dal palco e dalla platea di Rimini al candidato premier dell’Unione Romano Prodi e i bisogni, le domande, la dura materialità della condizione dei lavoratori e dei pensionati che la Cgil rappresenta. Un conflitto tra due esigenze altrettanto concrete che coinvolgono gran parte del mondo del lavoro in tutte le forme in cui esso è stato frantumato, non soltanto dalle politiche liberiste e volgarmente precarizzanti di Berlusconi e del suo governo.

La prima esigenza è quella di cambiare registro, liberarsi di un incubo e ripristinare regole democratiche in cui agire il conflitto sociale. La seconda nasce proprio dalla natura inevitabile e salubre del conflitto stesso, motore di qualsivoglia cambiamento dei rapporti di forza nel paese.

Se è vero, come dicono tanto Epifani che Prodi, che in 5 anni il nostro paese è diventato più povero, più ingiusto, più immorale nella distribuzione delle ricchezze, come si può pensare a un’inversione di tendenza netta e visibile senza l’azione autonoma, libera, della Cgil e di quei cinque milioni e mezzo di uomini e donne che ne costituiscono l’ossatura? Forse la contraddizione è solo apparente.
Forse tutti a Rimini, dal segretario generale all’ultimo in ordine alfabetico dei 1.222 delegati, sono coscienti che non possono esistere per un sindacato (di classe?) governi amici, ma solo interlocutori più o meno democratici, più o meno permeabili dal conflitto sociale. Forse tutti si rendono conto che la promessa di Prodi di non procedere con la politica dei due tempi – prima il risanamento, leggi i sacrifici, e poi il cambiamento nello sviluppo – potrebbe infrangersi contro il peso dell’eredità incassata da cinque anni di deregulation berlusconiana. E potrebbe infrangersi contro un centrismo interclassista che non conosce più, o non è interessato a modificare le pesanti condizioni materiali in cui vivono milioni di lavoratori dipendenti e pensionati. A qualcuno – ci si passi l’ingenuità – potrebbe venire in mente che se per la sconfitta di Berlusconi si battono tanto la Confindustria quanto la Cgil, bisognerà pur distribuire la gratitudine equanimemente in caso di vittoria dell’Unione. Come se tutti, operai e padroni, fossero egualmente vittime del berlusconismo. Ecco allora che l’autonomia concreta della Cgil sarebbe il miglior antidoto alla riproposizione del brutto un film già visto tra il `96 e il 2001.I delegati riuniti a Rimini sono portatori di un disegno che parte – dovrebbe partire – dalle condizioni materiali dei lavoratori e le travalica.

Un disegno che rimanda a una parola d’ordine che ha segnato l’unica radicalità di questi anni: un altro mondo è possibile. Un disegno che mette al primo posto la pace, la solidarietà, la democrazia, l’eguaglianza, e certo non in un paese solo. Difficile mettere tutto ciò dentro un patto di legislatura. Impensabile delegarlo a un governo amico.

Ora, è certo che i dirigenti e i militanti della Cgil saranno il motore della campagna elettorale dell’Unione. Lo sarebbero stati anche se il congresso si fosse svolto dopo il 10 aprile. Forse, però, un congresso post-elettorale avrebbe garantito una maggiore dialettica interna al sindacato, attrezzandolo a una stagione di ricostruzione difficile in cui la Cgil non potrà fare sconti a nessuno. Perché il liberismo, e questo lo sanno tutti i delegati di Rimini, non è il marchio di garanzia di un solo partito, né di un solo schieramento.