Una competenza diretta dello Stato

All’indomani della strage dell’oleificio di Campello sul Clitumno Piero Sansonetti ha rivolto a tutti i partiti un appello affinché accantonino per un momento ogni motivo di scontro e varino a tamburo battente misure bipartisan volte ad arginare le morti sul lavoro. Sono passati pochi giorni, poche ore, e altre notizie tragiche provengono oggi da Salerno (un morto in un cantiere) e da Sant’Angelo all’Esca, presso Avellino (due morti e due feriti in seguito all’esplosione di una caldaia difettosa). Tutto ciò dimostra – qualora mai sentissimo il bisogno di nuove prove – che l’appello di Sansonetti va raccolto senza esitazioni e tradotto al più presto in concrete iniziative legislative. Quali?
Cominciamo da una misura semplice, che tuttavia potrebbe sortire di per sé effetti molto rilevanti. E che, anche sul piano simbolico dei valori di fondo che una collettività dovrebbe condividere, potrebbe trasmettere al Paese il senso di una unità d’intenti e di una comune assunzione di responsabilità. Si tratta di modificare l’attuale art. 117 della Costituzione, che al comma 3 affida «tutela e sicurezza del lavoro» alla potestà legislativa concorrente di Stato e regioni. Consideriamo questa norma uno dei frutti più perversi della devolution, non privo di responsabilità rispetto al record che l’Italia registra nella graduatoria europea degli infortunio e delle morti sul lavoro. Riteniamo che, a fronte delle centinaia di morti bianche che insanguinano ogni anno il nostro Paese, sia necessaria una competenza diretta dello Stato, che deve riappropriarsi del potere di legiferare su questa materia in maniera esclusiva, assicurando alle lavoratrici e ai lavoratori del nostro Paese condizioni e standards normativi uniformi su tutto il territorio nazionale.
Introducendo una irrazionale «concorrenza ordinamentale» tra le diverse regioni, l’attuale normativa “federalista” pone le premesse per fenomeni di dumping sociale, ossia per l’attivazione di una competizione «al ribasso» dove le imprese sono spinte a ricercare localizzazioni più vantaggiose in quanto meno vincolanti sul piano della sicurezza e, circolarmente, le regioni sono indotte ad abbassare gli standard di sicurezza allo scopo di attirare investimenti industriali sul proprio territorio. Da ciò alla balcanizzazione della sicurezza del lavoro e alla discriminazione dei lavoratori delle aree tradizionalmente più disagiate, il passo è breve, con buona pace dei principi di uguaglianza e di universalità dei fondamentali diritti civili e sociali sanciti sia dalla Costituzione repubblicana che dalla Carta di Nizza. Ad andarci di mezzo è, con ogni evidenza, la tutela della condizioni dei lavoratori.
Purtroppo, e spiace rilevarlo, nemmeno tutte le iniziative assunte sin qui dal governo di centrosinistra adombrano un’adeguata strategia di tutela della sicurezza del lavoro, che a tratti parrebbe persino declassata a bene “disponibile”, possibile oggetto di scambio e di mediazione con le imprese. Ci riferiamo, in particolare, alle misure inserite nella Finanziaria. Salutiamo con favore, da una parte, lo stanziamento destinato all’assunzione di nuovi 800 ispettori del lavoro, nonché l’introduzione dell’obbligo, per le imprese, di registrare le assunzioni il giorno precedente la presa di servizio dei nuovi assunti. Ma non possiamo per contro sorvolare su altri provvedimenti decisamente negativi.
Gli art. 177 e 178 contengono misure per l’emersione del lavoro irregolare e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro che concedono ai datori di lavoro l’estinzione delle sanzioni derivanti dalla violazione di un obbligo essenziale stabilito dal Testo Unico sulle assicurazioni contro gli infortuni, e precisamente l’obbligo di rifondere all’Inail l’ammontare delle prestazioni liquidate per infortuni avvenuti in assenza di adeguate condizioni di sicurezza.
Non bastasse, con l’art. 177 lo Stato arriva al punto di assicurare alle imprese che presentano istanza di regolarizzazione una temporanea impunità, sotto forma di una generalizzata sospensione, per la durata di un anno, delle ispezioni e delle verifiche in materia di sicurezza del lavoro da parte degli organi di controllo e di vigilanza.
E ancora. Per favorire la ripresa industriale, la Finanziaria prevede una riduzione generalizzata dei premi Inail. La cosa è di per sé preoccupante. Diventa addirittura inaccettabile dal momento che il governo si è sin qui rifiutato di condizionare i benefici di tale riduzione al loro impiego ai fini di una maggiore sicurezza dei lavoratori e di vincolarli in base al tasso di incidentalità nelle varie imprese. Per intenderci, tra poco potrebbero pagare meno per l’assicurazione dei propri dipendenti, senza avere migliorato in nulla le condizioni della loro sicurezza, anche l’Ilva di Taranto o l’impresa Umbria Olii presso la quale si è verificata la strage del 25 novembre.
Si tratta, a nostro giudizio, di concessioni gravi innanzi tutto dal punto di vista delle loro implicazioni culturali. Si direbbe, riflettendo su tali provvedimenti, che la sicurezza del lavoro sia materia sulla quale sia possibile chiudere gli occhi, sia pure.
Di fronte a questi orientamenti (che ci auguriamo saranno prontamente corretti nella seconda lettura della Finanziaria in Senato), diciamo che è finalmente necessaria una reazione concreta. I tanti proclami di questi giorni, dettati dal clamore della strage di Perugia, debbono cedere il passo a iniziative politiche efficaci, volte a correggere le storture segnalate e, soprattutto, a invertire la filosofia di fondo che informa le politiche sulla sicurezza del lavoro del nostro Paese. Restituire allo Stato la piena competenza legislativa in materia di sicurezza del lavoro potrebbe essere un primo passo in questa direzione.