UNA BATTAGLIA DA VINCERE

La decisione di Saddam Hussein, abile e tempestiva, di consentire il ritorno a Baghdad degli ispettori dell’Onu (una decisione cui certamente non è estranea l’iniziativa politica e diplomatica di quegli Stati che questa guerra proprio non vogliono e che è stata subito accolta, tra gli altri, dal significativo apprezzamento del Papa) ha contribuito a determinare uno scenario nuovo e non scontato. Titolava bene Liberazione di ieri : “ora la guerra si può fermare”. Si tratta certo di una possibilità, non di una certezza. L’amministrazione Usa ci ha abituato da tempo a tali e tanti atti di arrogante unilateralismo e disprezzo per il diritto internazionale, che nulla sarebbe più sbagliato dell’ ottimismo facilone. Ma se è vero ciò che scrive Il Foglio del 17 settembre (un giornale che di Casa Bianca se ne intende…), e cioè che “la strategia di passare per l’Onu” sarebbe stata “caldeggiata da Colin Powell e osteggiata da Dick Cheney e Donald Rumsfeld”, la linea dei falchi americani potrebbe oggi trovarsi di fronte a qualche ostacolo in più. Sarebbe quindi inopportuno e smobilitante un atteggiamento rassegnato o fatalista (che non ci appartiene) che considerasse la guerra come fatto ormai compiuto, che sottovalutasse la portata dello schieramento internazionale che vi si oppone (con tutte le diversità e contraddizioni che lo attraversano) e snobbasse il ruolo che ancora possono svolgere le Nazioni Unite (cui la mossa di Saddam offre obbiettivamente una sponda e un ruolo importante) per tentare di imbrigliare o condizionare le posizioni più oltranziste di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele.
Non affidiamo al movimento popolare contro la guerra (ancora embrionale) una funzione di nobile testimonianza, bensì – come è necessario e possibile – investiamo su di esso come soggetto fondamentale, la cui mobilitazione crescente nelle prossime settimane, in Italia, in Europa, nel mondo può contribuire a far pendere l’ago della bilancia della politica mondiale dalla parte del “no alla guerra”. A partire, per quanto ci riguarda, dallo sviluppo fin dai prossimi giorni di una forte mobilitazione popolare in Italia, volta a contrastare le propensioni “americane” del governo Berlusconi. Non ci è sfuggita l’autentica ovazione che il popolo dei girotondi ha riservato alle parole inequivocabili di Gino Strada contro la guerra. Non ci sfugge il no alla guerra della Cgil e del centro-sinistra che richiede, per essere credibile, atti e mobilitazioni conseguenti, a partire da un impegno preciso per uno sciopero generale contro la guerra, ove la situazione dovesse precipitare al peggio. Per non parlare della netta avversione alla guerra di un movimento no-global che è già in campo. La nostra manifestazione del 28 settembre, che vogliamo più ampia e partecipata del solito, è al servizio di questa mobilitazione eccezionale che oggi si impone. E così pure l’impegno a fare del Forum Sociale Europeo di Firenze del 6-10 novembre prossimi una occasione straordinaria per una grande manifestazione continentale contro la guerra.
In una recente intervista il segretario di Rifondazione ha affermato “che noi qui in Europa, in Italia, dobbiamo trasformare l’autunno in una straordinaria stagione contro la guerra. Cercando di allargare il fronte quanto più possibile, trasformando la battaglia per la pace nella nostra principale battaglia strategica. Non solo una battaglia di principio, una battaglia da vincere”. Gli sviluppi degli ultimi giorni, delle ultime ore, ci dicono che i margini perché ciò sia possibile sono oggi maggiori di ieri, e che questo è il momento dell’ ”ottimismo della volontà”.