Un voto per scegliere tra futuro e passato

Nelle elezioni politiche di oggi la Serbia sceglie il proprio avvenire. E’ un appuntamento elettorale cruciale che arriva in un momento molto delicato per il paese: sullo sfondo dello scontro tra le forze progressiste e quelle nazionaliste, si staglia l’ombra dei monasteri ortodossi del Kosovo. In bilico tra indipendenza e autonomia, il destino della provincia serba a maggioranza albanese rischia così di decidere il domani di Belgrado.
Europa o Balcani?
Più che una tornata elettorale per il controllo dei 250 seggi del Beli Dvor, il parlamento, sembra de facto un viaggio di sola andata con due possibili destinazioni: l’adesione all’Unione europea e la piena integrazione in tutte le strutture euroatlantiche, o l’isolamento balcanico e l’oblio completo della comunità internazionale. Ai serbi la decisione. E per dire sì a questo referendum, alla via di Bruxelles, basta non votare per i nazionalisti del partito radicale Srs (al 30% nei sondaggi) e optare per uno dei partiti del «blocco democratico».
Democratici tra loro ostili
Molto meno di una coalizione, il «Blocco» in realtà è ben lontano dall’essere unito. Basti dire che i protagonisti di questo fronte si detestano, e dalla caduta di Slobodan Milosevic non aspettano altro che l’occasione per regolare i conti in sospeso. Così, mentre nella guerra delle schede tutti si battono contro i radicali del Srs, si deve registrare anche la battaglia tra il partito democratico (Ds) del presidente Boris Tadic e quello democratico serbo (Dss) del premier Vojislav Kostunica.
Partiti democratici
«Abbiamo perso troppo tempo prezioso». Per conquistare la fiducia dei serbi, il progressista Tadic ha promesso di accelerare le riforme e di estirpare tutto ciò che resta dell’era Milosevic. E a suo favore gioca l’immagine di politico moderno che lo caratterizza: telegenico, spigliato, ha il dono innato della sintesi e non si nega mai alla stampa.
«Per noi non parlano le parole, ma i fatti», ribatte il primo ministro conservatore Kostunica. Questo ex professore di diritto messo alla porta dal regime jugoslavo non può certo contare sulle stesse armi del suo rivale politico. Ma anche se non buca lo schermo, è apprezzato soprattutto per la sua coerenza. E il suo entourage non perde mai occasione per citare i risultati del suo governo: nel 2006 la crescita economica si è attestata al 6%, gli investimenti stranieri hanno raggiunto quota 5,2 miliardi di dollari e l’inflazione è crollata dal 20% al 7% in due anni.
Tuttavia, a tenere banco nella campagna elettorale non sono stati i numeri dell’economia. Il tema cardine di tutti i dibattiti è stato solo uno: il futuro del Kosovo. A portarlo in primo piano non ci ha pensato l’ormai sempre più esigua schiera di «patrioti», ma una scelta della comunità internazionale: il mediatore Onu Martti Ahtisaari presenterà la proposta sullo status di Pristina subito dopo il voto serbo, senza aspettare la formazione del nuovo esecutivo. Un timing quantomeno discutibile che – insieme al tifo delle cancellerie occidentali per le forze progressiste – rischia di trasformarsi in un assist per i radicali.
Ma sul Kosovo la Serbia è un corpo unico. Da destra a sinistra, seppur con toni diversi, quasi tutte le 20 formazioni in lizza ripetono la formula-mantra «No all’indipendenza, sì all’autonomia»: la ribadisce sempre Kostunica e gli fa puntualmente eco Tadic. Fanno eccezione i partiti della minoranza albanese, della minoranza ungherese, e, soprattutto, i liberaldemocratici (Ldp) di Cedomir Jovanovic. Questo ex leader delle proteste studentesche contro Milosevic – colluso con il clan mafioso di Zemun – afferma: «Voltiamo le spalle al Kosovo e guardiamo all’Europa». Chi conosce un po’ la storia dei Balcani, ne capisce bene anche la metafisica, ma Jovanovic non sembra averne la minima idea. In Kosovo non è in gioco una mera questione territoriale,, bensì l’«identità» dei serbi.
Secondo i sondaggi, alla fine il blocco democratico vincerà, ma la maggioranza relativa andrà comunque al partito radicale (Srs).
Ma uniti ce la faranno
E se le urne confermeranno queste previsioni, lo scenario è scontato: per impedire una situazione di stallo, Kostunica e Tadic dovranno lasciare i vecchi rancori e formare insieme un governo. E per i radicali sarebbe una vittoria di Pirro: ancora una volta prima forza del Paese, ancora una volta relegati all’opposizione. Ma senza l’accordo si tornerebbe a l voto: un’ipotesi da brivido per una Serbia che deve affrontare il dossier Kosovo.
E la scelta oggi spetta a circa 6,6 milioni di elettori. Possono scegliere tra Europa o Balcani, futuro o passato, in un’elezione che sa molto – e forse troppo – di referendum.