Un velo oscuro sui crimini di guerra italiani in Etiopia

È necessario indagare sui crimini dell’Italia nel mondo, ha detto il giurista Antonio Cassese quando di recente un ricercatore ha scoperto la fossa comune in cui i fascisti avevano nascosto le vittime di una strage in Etiopia. Peccato però che, nel momento in cui questo avviene, non tutti siano disposti ad accettare quanto viene fuori. Soprattutto quando si scopre che i crimini potevano essere giudicati a tempo debito e che, nel caso dell’Etiopia, non farlo fu una precisa scelta delle Nazioni Unite. Lo stesso è accaduto con la commissione parlamentare sui crimini nazifascisti che ha concluso i propri lavori a febbraio con una relazione «di maggioranza» da cui erano stati cancellati diversi particolari scomodi scoperti dai consulenti «di minoranza». Tra le parti omesse, oltre alle responsabilità legate all’occultamento dei fascicoli sui crimini nazifascisti in Italia, c’erano le prove di come le Nazioni Unite, a guerra finita, decisero di evitare che uomini di spicco dell’Italia fascista e postfascista fossero processati per i crimini commessi durante il conflitto.
«La documentazione contenuta nell’archivio delle Nazioni Unite a Londra – spiega lo storico Paolo Pezzino, uno dei consulenti della commissione – dimostra come l’Etiopia abbia chiesto sin dal 1943 che l’Italia fosse processata. Durante la discussione si formò un fronte internazionale deciso a salvare l’Italia da questi processi, chiesti anche da Francia, Jugoslavia e Grecia, almeno fino alla conclusione del trattato di pace con gli alleati». Per giustificare la scelta, la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra sostenne che la sua attenzione si sarebbe dedicata solo ai crimini commessi durante la seconda guerra mondiale. L’obiezione era pretestuosa, e il trattato di pace del 1947 tra Italia ed Etiopia riconobbe l’ininterrotto stato di belligeranza fra i due paesi, dall’invasione fascista (3 ottobre 1935) alla firma dell’armistizio (10 febbraio 1947). Passata la prima votazione e il trattato con gli alleati, l’Etiopia tornò a reclamare i suoi diritti e nel 1948, poco prima della fine dei lavori, la Commissione cambiò posizione. Nella riunione del 4 marzo 1948 riconobbe la fondatezza delle accuse presentate dagli etiopi e iscrisse dieci italiani nelle liste dei criminali di guerra: otto come responsabili diretti, due come testimoni. Fra gli incriminati figuravano il comandante in capo delle truppe italiane, maresciallo Pietro Badoglio, il governatore generale e viceré d’Etiopia, maresciallo Rodolfo Graziani; il segretario di stato per le colonie Alessandro Lessona; il segretario del partito fascista ad Addis Abeba, Guido Cortese; alti generali come Guglielmo Nasi, Alessandro Pirzio Biroli, Carlo Geloso. Accuse forti ma formali, perché di lì a pochi giorni la commissione si sciolse: «Il quadro era cambiato – aggiunge Pezzino – e la Gran Bretagna era interessata ad avere buoni rapporti con le ex colonie. Per questo, avendo la certezza che le accuse non avrebbero avuto seguito, decise di votare contro l’Italia e a favore dell’Etiopia».
A lavori conclusi, il governo etiope preparò un aide-mémoire per chiedere all’Italia la consegna di Badoglio e Graziani sulla base dell’articolo 45 del trattato di pace, affinché fossero processati da un tribunale internazionale con una maggioranza di giudici non etiopi e secondo i principi del tribunale di Norimberga. Ma Tommaso Gallarati Scotti, ambasciatore italiano a Londra contattato informalmente dal rappresentante diplomatico dell’Etiopia, rifiutò di consegnare il documento a Roma. Le accuse, conclude la relazione oscurata, finirono nel memorandum Documents on Italian War Crimes submitted to the United Nations War Crimes Commission: «Era un ultimo atto di accusa. Addis Abeba, però, non sollevò più la questione della consegna di Badoglio e di Graziani. Il Foreign Office, interpellato dalle autorità etiopi, aveva fatto sapere di giudicare il passo dell’ambasciatore etiope a Londra “estremamente inopportuno” e aveva sconsigliato l’Etiopia dal ripetere simili iniziative».