Un uomo solo al comando

La “guerra contro il terrorismo”, proclamata dal presidente Bush in risposta agli attentati di New York e Washington, ha aperto una nuova fase, sia nella situazione interna che internazionale. Anche nella scelta ideologica del nome, “Giustizia infinita”, sembra proporre una rottura temporale dell’immaginario individuale e collettivo della paura. E pensare che si approssimano solo stagioni di morte e di interessi concretissimi, dentro una nuova cornice mass-mediologica che le racconterà riordinandole per il potere.
Negli Stati uniti, scrive The Washington Post, “il Dipartimento di giustizia ha redatto un progetto di legge, che permette al procuratore generale di rinchiudere in prigione gli stranieri sospettati di essere terroristi e di ordinarne la deportazione senza presentare alcuna prova”. La nuova legge, precisa The New York Times, non sarà applicata ai cittadini statunitensi, ma solo agli “immigrati e ai visitatori stranieri che sono entrati legalmente nel paese ma sono sospettati di commettere crimini contro gli Stati uniti”. Sono attualmente 75 gli immigrati arrestati, che il dipartimento di giustizia intende “detenere a tempo indeterminato”, ma il loro numero sicuramente crescerà: l’Fbi ha ricevuto finora dai cittadini 54mila denunce di sospetti terroristi per e-mail e 9mila per telefono, che si aggiungono alle inchieste già aperte su 33mila indiziati. Viene così legalizzata una vera e propria caccia alle streghe di stampo maccartista, che assume per di più un chiaro carattere razzista in quanto persegue soltanto gli immigrati e in genere gli stranieri.
Lo stesso criterio viene seguito sul piano internazionale. Una risoluzione del Congresso “autorizza il presidente a usare tutta la forza necessaria e appropriata contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che lui, e solo lui, determina abbiano pianificato, autorizzato, commesso o appoggiato gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, o abbiano dato rifugio a tali organizzazioni o persone”. Dello stesso segno una risoluzione, adottata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza Onu subito dopo l’attacco agli Usa che, pur non autorizzando formalmente per ora nessuna guerra o iniziativa armata, quanto a interpretazione sembra dare “luce verde agli Stati uniti per impiegare la forza militare nel momento e nel luogo che essi scelgono”, ha scritto The Washington Post il 17 settembre. In altre parole, il presidente degli Stati uniti viene autorizzato – e si sente tale -, in nome della lotta al terrorismo, a condurre una guerra contro intere nazioni, la cui colpevolezza viene determinata dal presidente stesso, che emette la sentenza senza processo né possibilità di appello e ne ordina l’immediata esecuzione per mezzo della guerra.
L’operazione “giustizia infinita” è una “guerra di nuovo tipo” quindi, in cui “non vi sono chiari confini geografici”, condotta contro “un nemico che si nasconde nell’ombra”, il quale può essere identificato in chiunque e in qualunque paese si opponga alla politica e agli interessi statunitensi. La lista delle “organizzazioni terroristiche straniere”, redatta dal Dipartimento di stato, comprende anche movimenti che lottano per i più elementari diritti democratici: nell’elenco ci sono il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia); ma non compare l’Uck che, con l’aiuto della salvifica Nato, ha destabilizzato e terrorizzato Kosovo e Macedonia, né nomina mai le organizzazioni di mujaheddin integralisti che, in sintonia con gli interessi statunitensi, hanno fatto la stessa cosa in Bosnia. La lista, una specie di pelle di Zigrino del terrore, può essere continuamente allungata. Nel mirino del Pentagono vi sono anche vari paesi: Afghanistan, Iraq – target per antonomasia -, Corea del Nord, Iran, Sudan, Libia. Essi sono più vulnerabili a un attacco, spiega il segretario alla difesa Rumsfeld, perché “mentre le organizzazioni terroristiche non posseggono obiettivi di alto valore, come le capitali, alcuni dei paesi che danno loro rifugio posseggono obiettivi di alto valore, come capitali ed eserciti”.
In questa guerra, che, ha avvertito Bush, “non sarà né breve né facile” e in cui “vi saranno costi” da pagare, le forze armate statunitensi saranno affiancate (sulla base di una artificiosa applicazione dell’articolo 5) da quelle degli altri paesi della Nato. Esse potranno “legalmente” operare in aree distanti da quella geografica dell’Alleanza atlantica dato che il vertice di Washington dell’aprile 1999 le ha autorizzate a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza”. Anche i soldati italiani partiranno dunque per la “crociata” della giustizia infinita lanciata da Bush, i cui fini (come si verificò con le antiche crociate) sono tutt’altro che santi. Ma quanto può essere santa una guerra?
Già, perché l’area in cui gli Stati uniti stanno preparando l’azione militare, ufficialmente diretta a scovare ed eliminare bin Laden e la sua organizzazione terroristica, è per gli Usa di crescente valore strategico: la zona comprendente Afghanistan e Pakistan confina, da un lato, con Cina e India (potenze emergenti che gli Usa temono) e, dall’altro, con il sempre più importante “corridoio petrolifero” che va dal Caspio al Golfo. Qui Bush, un uomo solo al comando, anzi un petroliere al comando – qualcuno si ricorda che lui e il vicepresidente Cheney, sono potenti rappresentanti delle lobby petrolifere americane? – intende piantare le prime bandiere della sua crociata infinita.