Un programma comune della sinistra alternativa

Nelle 15 tesi, pur se vi sono aspetti condivisibili, si registrano tuttavia, da un lato, deficit d’analisi e, dall’altro, elementi di contraddittorietà rispetto alla pratica politica concreta. E tuttavia, l’elemento essenziale sta in una proposta politica che, se corregge in parte errori compiuti in precedenza, passa da un’enfatizzazione dei movimenti ad una prospettiva di alleanza politica con il centro sinistra, senza fare i conti con alcune difficoltà reali. Si rischia, così, non solo di alienarsi le simpatie degli stessi movimenti, ma anche di pregiudicare l’autonomia del partito.

Battere Berlusconi è una premessa oggettiva
Va premesso che esiste oggettivamente nel paese la necessità di battere Berlusconi, che questa richiede, oltre ad una forte opposizione, anche un’alleanza con il centro sinistra in vista delle elezioni politiche e che tale alleanza costringe a confrontarsi sulle questioni programmatiche. A tale proposito, credo sia irrealistico pensare di poter affrontare la situazione assolutizzando il ruolo dei movimenti, né credo si possa risolvere il tutto ricorrendo ad operazioni d’ingegneria istituzionale che rimandano al dopo il confronto sui contenuti.

Tuttavia – ed ecco il punto in cui la linea assunta di recente dal partito risulta poco convincente – essere consci che un’alleanza è necessaria non significa darla per scontata, né tantomeno proiettarsi automaticamente in una scelta di piena partecipazione al governo. Ciò significherebbe dare per acquisita una base programmatica che a tutt’oggi non c’è. Occorre quindi affrontare la questione delle condizioni di un accordo e a tale riguardo, mi chiedo: come si può condurre una trattativa senza esplicitare le condizioni minime accettabili?

Ma quali sono le posizioni del centrosinistra sulla guerra?

Prendiamo la questione fondamentale: la guerra. Le posizioni della sinistra moderata sono note: sì ad interventi militari ma a condizione che abbiano il beneplacito dell’Onu. Su questo punto un accordo è molto difficile. E’ sufficiente strappare un riferimento all’art.11 della costituzione? No, perché il conflitto con il centro sinistra si sposterebbe sul significato di tale articolo. Si può ricorrere a delle “primarie” assumendo poi la posizione risultata maggioritaria? No, perché su questioni attinenti l’identità di una forza politica non è possibile far valere il principio del voto di maggioranza. Non subire vincoli su questo punto, rifiutando comunque la guerra è una delle condizioni minime per stipulare qualsiasi accordo. Ve ne sono naturalmente altre, come l’eliminazione dell’iniqua legislazione sociale di Berlusconi – compresa la legge sulle pensioni e quelle ad personam – un sistema di scala mobile, ecc.

Ciò che potrebbe consentire di costruire invece un’alleanza organica è l’esistenza di un programma complessivo che affronti in primo luogo alcuni nodi decisivi della condizione sociale e del modello di società. Ciò potrebbe consentire quel collegamento con i movimenti che non solo diverrebbero fattore di stimolo, ma beneficerebbero di sponde politiche necessarie a consolidare alcune posizioni e ad acquisirne altre. E qui l’articolazione di un programma diventa molto più ampio, perché investe le questioni internazionali (il ruolo dell’Europa in primis), le garanzie del lavoro, l’aumento del reddito, la tutela del welfare pubblico, una politica di reindustrializzazione, il blocco delle privatizzazioni, il rilancio del Mezzogiorno, ecc.

La forma politica dell’alleanza. Inclusione o autonomia?

Non entro in profondità sui temi programmatici, non ne ho lo spazio. Vorrei invece soffermarmi su un altro aspetto e cioè quello delle forme dell’alleanza. La scelta di far parte della Grande alleanza democratica significa l’inclusione organica in una nuova coalizione di centro sinistra. Si sostiene che ciò è possibile perché l’Ulivo non esiste più, ma resta il fatto che la maggioranza di quella coalizione è guidata da forze dalle posizioni moderate (ci ricordiamo delle uscite di Rutelli su guerra, pensioni, leggi di Berlusconi da cancellare?). Inoltre, assumendo le “primarie” come metodo per dirimere le controversie si rinuncia a gran parte della propria autonomia. Ma questa scelta costituiva davvero un percorso obbligato in vista di una possibile intesa? Lascio stare i segnali reiterati di disponibilità che si sono dati nel corso di questi mesi al centro sinistra. Né, confesso, mi ha convinto quell’incontro bipartizan col governo per concordare sulla liberazione delle due volontarie italiane.

E’ necessaria una convergenza delle forze della sinistra alternativa
L’ultima questione che resta dirimente è quella della sinistra di alternativa. E’ evidente che a fronte di resistenze forti nel centro sinistra ad una scelta antiliberista Rifondazione ha bisogno di consolidare i rapporti di forza: di qui la necessità di una convergenza con alcune forze politiche e sociali. E qui, tuttavia, si registrano delle ambiguità. In primo luogo, si rinuncia a lavorare per un programma comune con queste forze da spendere nelle trattative con le forze moderate. Nel frattempo, si fa leva sul 13 % accumulato dalla sinistra di alternativa nelle elezioni europee per sollecitarne l’unità, ma si sceglie un rapporto preferenziale con alcune forze, scartandone altre. S’invoca una modalità di costruzione della sinistra di alternativa che parta dal basso, ma si assumono posizioni che allontanano da noi larghe fette di quei movimenti che ne dovrebbero essere componente essenziale.

In poche parole, la sensazione è che si voglia costruire la sinistra di alternativa giovandosi della collocazione interna alla nuova coalizione e selezionando ad arte gli interlocutori. Il che, ovviamente, implica l’assunzione del bipolarismo come assetto istituzionale entro il quale ridefinire il ruolo del partito. Ma se questa è la scelta qual è lo spazio per la costruzione dell’alternativa? E, infine, che ne sarà della prospettiva di una “rifondazione comunista” sempre più messa in ombra, forse soppiantata da una non meglio precisata “reinvenzione comunista”?