Sono il doppio di quanti erano appena quattro anni fa, ma rappresentano ancora una percentuale molto bassa rispetto alla popolazione residente, appena il 4,6%. Arrivano in prevalenza dai paesi dell’est europeo, tra loro cresce il numero delle donne, che ormai sono quasi il 50% del totale, e la loro presenza è sempre più significativa nell’economia nazionale, non solo per il numero di occupati, ma anche in veste di imprenditori capaci di offrire posti di lavoro. Infine sono concentrati prevalentemente nel nord Italia e, per quanto riguarda la fede religiosa, quasi il 50% sono cristiani, dato questo che manda definitivamente in soffitta un altro spauracchio – quello di una presunta invasione islamica – più volte agitato in maniera strumentale. E’il quadro che esce dalla XVI edizione del rapporto annuale sull’immigrazione elaborato dalla Caritas e da Migrantes e presentato ieri a Roma. Uno studio che non si limita a fornire solo dati statitici, ma che sfata il luogo comune che vuole l’Italia come paese di transito verso altri paesi europei. «Un mito – ha spiegato infatti Franco Pittau, responsabile scientifico del dossier della Caritas – smentito da tutti i dati», visto che «le persone immigrate vengono per restare».
I regolari. Il loro numero continua a crescere, tanto da aver raggiunto quota 2 milioni 600 mila, in pratica uno ogni 22 residenti nel nostro paese. In percentuale rappresentano il 4,5 della popolazione e sono raddoppiati nel periodo compreso tra i quattro anni che vanno dal 2000 al 2004. Come spiega la Caritas si tratta di una stima che non contrasta con i dati forniti di recente dal ministro degli Interni. Il Viminale ha infatti preso in considerazione solo le persone registrate, 2,2 milioni, alle quali l’associazione ha aggiunto circa 400 mila minori. Questi ultimi aumentano di circa 65 mila unità l’anno, tra nascite (35 mila) e nuovi ingressi (25 mila). Se continuerà questo trend, per la Caritas fra dieci anni la popolazione immigrata sarà nuovamente raddoppiata. Già da oggi, però, si può definire quella presente in Italia come un’immigrazione «euro-mediterranea». «La presenza europea raggiunge quasi la metà del totale (47.9%, di cui solo il 7% costitituito da cittadini comunitari) – spiega il dossier, mentre all’Africa spetta quasi un quarto (23,5%)». Infine, i motivi per cui lasciano i paesi d’origine: i due terzi degli immigrati (il 66,1%) è venuto in Italia alla ricerca di un lavoro e circa un quarto (24,3%) per motivi di famiglia.-
Da dove vengono. Il boom degli arrivi riguarda l’Europa dell’est e in particolare la Romania, paese che con Marocco e Albania rappresenta il maggior gruppo nazionale con circa 230/240 mila presenze. Un po’ a sorpresa, al quarto posto si trova l’Ucraina (130 mila presenze) e al quinto la Cina (100 mila). Seguono, nella fascia compresa tra le 70 e le 60 mila presenze, Filippine, Polonia e Tunisia. I paesi con circa 40 mila presenze sono invece Stati uniti, Senegal, India, Perù, Ecuador, Serbia, Egitto e Sri Lanka. Per quanto riguarda il sesso, è stata quasi raggiunta la parità tra uomini e donne, e questo – spiega il dossier – «per il forte bisogno di donne immigrate nel sistema dell’assistenza alle famiglie (si tratta di un milione e mezzo di persone); se nel 1991 i maschi erano il 58%, oggi sono scesi al 51,6%».
Distribuzione geografica. Il grosso degli immigrati è concentrato nel Nord Italia (60%, pari a 1 milione 500 mila presenze), seguito dal Centro (30%, 710 mila presenze) e dal Meridione (10%, 357 mila). Lombardia e Lazio sono le regioni che registrano il maggior numero di cittadini stranieri, rispettivamente con 606 mila e 369 mila.
Il lavoro. Il rapporto parla chiaro: quello che gli immigrati danno alla nostra economia è un contributo fondamentale, tanto da «sostenere» il nostro sistema produttivo. Oltre a quanti possiedono un permesso di lavoro (1 milione 450 mila), svolgono un’attività anche circa 300 mila familiari, così da incidere per circa il 7% sulla forza lavoro. Una presenza che pagano anche in termini di salute, visto che ogni nove infortuni che si verificano su un posto di lavoro, uno riguarda un lavoratore straniero: «Per loro – dice ancora la Caritas – si verifica un infortunio ogni 15 occupati, mentre per gli italiani il rapporto è di uno ogni 25 occupati».