Un obbrobrio politico

In poche settimane, il Governo e la sua maggioranza sono riusciti nel tentativo di scardinare la Costituzione, approvando un testo definito, dalla stragrande maggioranza dei costituzionalisti, schizofrenico, illogico, impraticabile, oltre che autoritario, dispotico ed eversivo. Anche all’interno della maggioranza, del resto, la condivisione di quel testo non doveva essere totale, se solo si considera che spesso è mancato il numero legale, che numerosi articoli sono stati approvati da un numero di deputati inferiore a un terzo dei parlamentari, che il centrodestra (che ha oltre 100 deputati in più) è stato battuto due volte da una opposizione compatta (salvo la sciagurata astensione dell’Ulivo sulll’art. 1 che introduceva il “Senato Federale”).
Solo ieri, per il voto finale, l’aula era piena: massiccia la presenza della maggioranza, numerosi i ministri e i sottosegretari. Raramente era avvenuto: anzi solo nelle “grandi occasioni”, quando cioè si dovevano votare leggi fondamentali per gli interessi, non del Paese, ma del Presidente del Consiglio e/o dei suoi sodali: falso in bilancio, rogatorie, conflitto di interessi, lodo Schifani, condoni edilizi e fiscali ecc. Le cosiddette “leggi della vergogna”, che quasi impallidiscono, se solo si considera lo scempio, consumato ieri, non solo della seconda parte della Costituzione, ma dell’intero impianto costituzionale.

Come è stato così bene riportato in queste settimane da “Liberazione” e da tutta la stampa di sinistra, la Camera ha approvato una controriforma che non è blasfemo definire “anticostituzionale”. Si sono stravolti i principi base di una moderna democrazia, quali, ad esempio, la divisione e l’equilibrio tra i diversi poteri dello stato, l’universalità dei diritti, l’eguaglianza dei cittadini, l’unità nazionale, il pluralismo istituzionale. Si sono indeboliti quegli organi di garanzia, la cui finalità è il controllo sull’esercizio del potere e il cui scopo è garantire la libertà individuale e assicurare un equilibrato pluralismo istituzionale. Nel contempo, si è inciso profondamente, e negativamente, sulla prima parte della Costituzione che tutela i diritti soggettivi e regola i rapporti politici, economici e sociali.

Violata la Carta fondamentale
La Costituzione, nata dalla resistenza; la Carta fondamentale della nostra Repubblica, apprezzata in tutti i Paesi democratici, è stata tradita. Non una ma più volte!

Non è certo facile riassumere tutte le vere e proprie “profanazioni” ripetutamente denunciate dall’opposizione o gli interventi, e gli emendamenti, che stigmatizzavano lo strappo istituzionale che si stava compiendo, ma è forse utile riassumere i punti principali di quel tradimento del patto di padri costituenti operato dal centrodestra, con un livello di perversione istituzionale inimmaginabile e, quel che è più grave, per puro interesse elettoralistico e per tentare di salvare una coalizione ormai allo sfascio.

E’ stato innanzitutto violato lo spirito dell’art. 138 della Costituzione, cioè di quella norma che traccia l’iter per la “revisione della Costituzione”. Piero Calamandrei, riprendendo i concetti espressi da un altro padre costituente, Costantino Mortati, aveva chiarito come non tutte le norme della Costituzione fossero “revisibili”. Ogni Costituzione, infatti, ha alcuni principi fondamentali, “determinati connotati di identificazione, che fanno parte di un nucleo immodificabile… se si vuole modificare uno di questi princìpi fondamentali, questa non è più una semplice revisione costituzionale, ma diventa la fine di essa e la instaurazione di un nuovo regime”.

Qualora entrasse in vigore il testo approvato ieri, ci troveremmo effettivamente in presenza di un “nuovo regime”, poiché le modifiche apportate ad oltre 40 articoli della Carta Costituzionale incidono profondamente sui diritti fondamentali garantiti dalla prima parte della Costituzione (che non possono in alcun modo essere compressi neppure con una legge costituzionale). Ci troveremmo di fronte – e sono parole di un autorevole giurista – a un vero e proprio atto eversivo!

Poteri assoluti del premier
Basti pensare alla violazione del principio di eguaglianza – o alla possibile lesione del diritto alla salute e all’istruzione – che certamente deriverebbe, soprattutto nelle regioni meno ricche, qualora, come prevede la nuova formulazione dell’art. 117 Cost., “l’assistenza e l’organizzazione sanitaria”, piuttosto che “la definizione dei programmi scolastici e formativi”, diventassero di esclusiva competenza della potestà legislativa regionale. O al forte squilibro tra potere esecutivo e legislativo, che conseguirebbe a una modifica costituzionale per cui il Primo Ministro finirebbe con l’avere un potere assoluto non solo sui singoli ministri ma, fatto ben più preoccupante, sulla Camera dei Deputati. Il Primo Ministro, infatti, potrà sciogliere la Camera se questa, nella sua maggioranza, non approverà le leggi da lui proposte; non dovrà dimettersi anche se non avrà più la fiducia della sua maggioranza; potrà di fatto imporre al Parlamento il calendario dei lavori. Avrà, di fatto, un potere di ricatto sul Parlamento, il quale finirà per essere il veicolo di decisioni prese in ben diverse sedi. La Camera dei Deputati diventerà, o almeno, rischierà di diventare, lo strumento passivo della volontà del Primo Ministro.

Secondo il centrodestra, poiché il Premier sarà eletto direttamente dai cittadini (il presidenzialismo, peraltro, non ci piace affatto e lo abbiamo avversato con tutte le nostre forze in tempi non sospetti) dovrebbe esprimere la volontà popolare: ne conseguirebbe che, secondo loro, avremmo un paese più democratico e più governabile. Ma, a tali considerazioni, è facile rispondere: la storia è purtroppo ricca di dittatori eletti dal popolo e non può esistere un sistema realmente democratico se non si prevedono adeguati strumenti di controllo, organi di garanzia super partes e, soprattutto, pesi e contrappesi istituzionali, i cui componenti siano eletti dai cittadini, e che abbiano l’effettiva, e non solo teorica, possibilità di approvare leggi non proposte dal governo o, addirittura, avversate dall’esecutivo. Invece di rafforzare gli organi di garanzia e controllo, si sono indeboliti i poteri, le facoltà e le prerogative del Presidente della Repubblica e, con la modifica della composizione della Corte Costituzionale, la si è di fatto politicizzata con la conseguenza di limitarne la funzione di equilibrio tra i poteri dello Stato e di tutela dei diritti e delle garanzie individuali e collettive.

Si potrebbe andare avanti, per pagine e pagine, nelle critiche della controriforma costituzionale. Critiche che (è sufficiente ricordare le nostre posizioni fin dalla bicamerale) non sono di oggi, ma che sono il naturale sbocco di chi intende difendere, e se possibile rafforzare, i princìpi della democrazia partecipativa e creare le condizioni per una forte opposizione a qualsiasi tentativo autoritario, comunque mascherato.

Ribaltoni e federalismo
Ma altre considerazioni si impongono. Si è detto che uno degli obiettivi delle modifiche costituzionali sarebbe quello di evitare, in futuro, i cosiddetti ribaltoni. Ebbene, anche questo argomento è del tutto infondato. Come abbiamo ripetutamente ricordato in queste lunghe giornate e nottate di confronto (e scontro) con l’attuale maggioranza, il deprecabile passaggio di parlamentari da uno schieramento all’altro non è certo imputabile all’attuale assetto costituzionale, ma piuttosto al sistema maggioritario. In undici legislature, quando vigeva il sistema elettorale proporzionale, solo 11 parlamentari hanno cambiato partito; dal 1994, col maggioritario, più di cento sono stati i deputati e i senatori che hanno cambiato casacca. Così come si è detto che, a differenza della “riforma federalista” dell’Ulivo (approvata con 4 voti di maggioranza e col voto contrario di Rifondazione Comunista), le modifiche costituzionali della cosiddetta Casa delle Libertà hanno avuto un consenso ben più ampio (295 favorevoli e 202 contrari). L’Ulivo, almeno in parte, ha fatto autocritica. Da parte nostra possiamo solo ricordare che, nel lontano 1947, la Costituzione era stata approvata con una maggioranza (453 favorevoli su 515 presenti e votanti), tale da confermare, senza ombra di dubbio, uno spirito costituente che troppi, in queste settimane, hanno auspicato solo a parole ma non nei fatti. Come non ricordare che – proprio il giorno della votazione finale – l’on. La Pira aveva presentato una proposta di preambolo al testo della Costituzione (“in nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione”). Ebbene, dopo vari interventi, tra cui quelli di Togliatti e del Presidente Terracini, che ricordavano la forte unità trovata sul testo finale e il rischio di rompere quella giornata di “unità e di concordia” (nonché la volontà di “scartare in quel giorno tutte le questioni che potevano dividerci, o potevano aprire o riaprire solchi, elevare barriere”), alla fine la proposta di preambolo non fu messa ai voti.

Ma la battaglia per evitare che la controriforma costituzionale sia inserita nel nostro ordinamento è appena all’inizio. Vi sono ancora tre passaggi parlamentari e, se l’opposizione rimarrà compatta, non sarà facile, per una maggioranza non certo coesa, arrivare alla sua approvazione definitiva. Alla fine, in ogni caso, saranno i cittadini ad avere l’ultima parola. E forte è la convinzione che il popolo sovrano non avrà dubbi sulla scelta da fare tra i veri costituenti e i vacanzieri di Lorenzago; tra una delle più belle costituzioni del mondo e un coacervo schizofrenico di norme che è fin troppo generoso definire un obbrobrio politico, giuridico e istituzionale.