Le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro nei primi
mesi di quest’anno rappresentano plasticamente la gravità della crisi. Una crisi che non è caduta dal cielo, non è il frutto di qualche cattivo
banchiere che ha falsato le regole del gioco; una crisi che è il frutto
proprio di quelle politiche liberiste che i capitalisti hanno portato avanti
dagli anni ’80 e che sono state condivise a livello politico sia dal centro
destra che dal centro sinistra.
Al centro di queste politiche abbiamo avuto la finanziarizzazione
dell’economia e la sistematica compressione dei salari, delle pensioni e del welfare. Politiche tutte orientate all’esportazione e alla speculazione
finanziaria a breve hanno prodotto la situazione attuale: le banche sono
piene zeppe di titoli che non valgono nulla e milioni di lavoratori non
hanno i soldi per arrivare a fine mese, cioè per comprare le merci e i
servizi che producono. Questa crisi è quindi una crisi del meccanismo di
accumulazione capitalistico, non solo una crisi economica ma ambientale e alimentare.
Da una crisi di questa natura non è possibile uscire senza una radicale
messa in discussione della distribuzione del reddito e del potere e senza
riprogettare il modello di sviluppo: cosa, come, per chi produrre. Se non si affrontano tali nodi, l’idea che la crisi sia destinata dopo un po’ a
risolversi “da sola” e che quindi si tratti solo di aspettare, è sbagliata.
Da questo punto di vista è evidente che la politica che sta facendo il
governo Berlusconi non è finalizzata all’uscita dalla crisi da piuttosto
all’uso della crisi a fini politici. Berlusconi sta usando la crisi per
costruire una organica svolta a destra: presidenzialismo, distruzione del
sindacato, attacco ai diritti sociali e civili, aggressione all’ambiente e
sua mercificazione, promozione di ideologie razziste, sessiste e clericali
come “religione civile” del paese. Le ideologie reazionarie non sono un
optional di questa politica: costituiscono il collante ideologico che
permette di costruire consenso anche tra chi vede peggiorare la propria
condizione. Bossi e il Papa svolgono la funzione deleteria che hanno svolto i nazionalisti e i nazionalismi all’inizio del ‘900. La gestione autoritaria della frantumazione del conflitto sociale è l’obiettivo berlusconiano: il clerico fascismo per l’appunto. L’obiettivo della destra non è quindi l’uscita dalla crisi ma l’uso della stessa per costruire un regime reazionario.
Per uscire dalla crisi a sinistra e quindi per sconfiggere il progetto
berlusconiano è quindi necessario costruire un movimento di massa per
l’alternativa. Senza un progetto alternativo che unisca la difesa degli
interessi materiali immediati ai valori civili e la proposta di uno sviluppo
alternativo, di una rivoluzione ambientale e sociale dell’economia, non è
possibile uscire positivamente dalla crisi.
Per questo dobbiamo far vivere dentro le lotte, a partire da quelle
organizzate dalla Cgil e dal sindacalismo di base, la costruzione di una
piattaforma di alternativa: pesante redistribuzione del reddito e salario
sociale per tutti i disoccupati, intervento pubblico in economia per
praticare la riconversione ambientale e sociale della stessa, proposta di un nuovo umanesimo laico che veda nell’autodeterminazione degli uomini e delle donne il punto focale. Per superare la frammentazione sociale e la guerra tra i poveri è decisivo che una piattaforma concreta di riunificazione sociale viva dentro la costruzione delle lotte.
Per questo dobbiamo proporre a livello europeo una radicale messa in
discussione dell’Europa di Maastricht, costruita da socialisti e popolari,
che ha costituzionalizzato il neoliberismo e il cui monumento è la Banca
Centrale Europea, dove un pugno di tecnocrati decidono delle nostre vite
senza alcun vincolo democratico e sociale.
La tassazione delle rendite finanziarie, la tobin tax sulle transazioni
speculative, la rottura di ogni relazione finanziaria con i paradisi
fiscali, la possibilità per i lavoratori di tornare in possesso del loro Tfr
abbandonando i Fondi Pensione sono tutti elementi di questo disegno che
dobbiamo far valere nelle lotte e nelle elezioni europee.
Il punto centrale di questo progetto è la proposta di un nuovo intervento
pubblico in economia. Berlusconi propone un intervento pubblico distruttivo delle relazioni sociali e dell’ambiente: dal via libera alla speculazione edilizia alle centrali nucleari. Noi dobbiamo proporre un intervento pubblico che, a partire dalla nazionalizzazione delle banche e dallo stop ai contributi alle imprese, attivi ricerche e produzioni finalizzate alla soddisfazione dei bisogni sociali e non ai profitti.
Il livello europeo e quello delle lotte sono i terreni decisivi per la
richiesta dell’alternativa. Uscire dal chiacchiericcio del bipolarismo tra
simili che caratterizza il dibattito politico italiano e far emergere la
concreta urgenza dell’alternativa nelle lotte e nella campagna per le
europee è il nostro compito.