Un giorno di libertà

Eccolo qui il popolo di «drogati» che Alleanza nazionale vorrebbe stigmatizzare – ed eliminare – come la «feccia» di Nicolas Sarkozy. Erano talmente tanti ieri in piazza a Roma che se solo si volesse applicare loro la legge Fini-Giovanardi, non basterebbero le già affollate carceri e le comunità terapeutiche per contenerli tutti. Cinquantamila persone, forse più, si sono accalcate per tutto il pomeriggio attorno ai carri che sparavano musica dai sound system, dilagando presto nelle stradine laterali al percorso, e hanno dato vita alla più grande manifestazione antiproibizionista che sia mai stata organizzata in Italia. Una manifestazione politica, che ha smentito fin dai primi minuti quel carattere di street parade con la quale era stata pensata. Non un semplice rave itinerante, non solo folklore, non solo «cultura dello sballo». E se c’era un limite nel corteo di ieri era quello generazionale, caratterizzato da soli e troppo giovani e giovanissimi. Segno evidente che questo «nuovo movimento cresciuto nel numero e nella testa», per dirla con le parole di Daniele Farina, portavoce del Leoncavallo di Milano, non è però ancora riuscito a parlare a tutti, a quei milioni di cittadini italiani che usano consapevolmente e senza problemi le sostanze stupefacenti. «Ma è senz’altro riuscito a porre – chiosa Farina – in persone diverse nuovi interrogativi».

«Una scelta di massa non si arresta», c’era scritto sul lungo striscione del Movimento di massa antoproibizionista, in apertura di corteo. Prima di loro lo spezzone «no oil» con giocolieri, bande, percussionisti, ballerini del gruppo «Mala Murga», biciclette e ciclofficine. E tanti non consumatori scesi in piazza «perché questa legge-manifesto partorita per pura ideologia dal governo di centrodestra colpisce tutti coloro che difendono le libertà individuali e i diritti sociali», dice Francesco Piobbichi, responsabile droghe del Prc. A seguire, la comunità di San Benedetto al Porto di Genova con il loro «Dio benedica don Gelmini», una frase che don Andrea Gallo pronunciò il giorno del varo della Fini-Giovanardi. E poi, al suono martellante di una trentina di carri, accompagnati e vigilati dalle unità dei servizi sanitari di strada, decine di migliaia di ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia – da Torino, a Palermo, da Bari a Bologna, da Napoli a Vicenza, da Milano a Firenze, da Venezia a L’Aquila, e persino dai piccoli centri di provincia – hanno sfilato da piazza della Repubblica fino alla Bocca della Verità, nel cuore della capitale.

«Sorridete» c’era scritto su uno dei suond system dell’Mdma. E così hanno fatto, i turisti e i romani che lungo il percorso hanno perlopiù accolto il coloratissimo, goliardico e festante corteo la cui unica provocazione è stata quella di rollare e fumare apertamente spinelli. Poche le persone che hanno abusato o mescolato sostanze e hanno dovuto fare ricorso all’aiuto dei drop in delle cooperative sociali di Roma e del Livello 57 di Bologna che instancabilmente hanno distribuito materiale informativo sulle sostanze: cosa sono, come si usano, quali sono gli effetti, quando è meglio non usarle, cosa fare in caso di abuso. Quegli stessi flyers, redatti dagli operatori di strada, erano stati utili anche a novembre scorso, quando gli attivisti del Livello 57 erano stati chiamati per un corso di formazione per agenti di polizia a Bologna: «Un’esperienza interessante per tutti i partecipanti, che dovrebbe essere ripetuta in ogni città».

Tante le storie che meriterebbero di essere raccontate. C’è chi, come Stefano di Vicenza, affetto da sclerosi multipla, fa uso della marijuana per curarsi dall’inappetenza, dal prurito irrefrenabile alle gambe e da alcuni dolori che lo affliggono. Lui, come i Pazienti Impazienti del Pic, rischia il carcere oggi con la legge Fini-Giovanardi. «Va abrogata immediatamente prima che produca effetti catastrofici – dicono – ma va anche superata la 309/90, liberalizzando l’uso e la coltivazione della cannabis». Nicola, invece, vive nella comunità d’accoglienza di don Gallo, ma prima ha passato due anni in quella di don Gelmini dalla quale è «scappato». E non ha dubbi: «Lì credono di avere una ricetta per tutti, ma non è così. Prima delle droghe ci sono le persone, ognuna con un problema da capire e da affrontare. Proibire serve solo a farti ricadere, una volta uscito, negli stessi errori».

Su un cartello Ahmed, marocchino, ha scritto in arabo: «No allo schiavismo, libertà per tutti»: «Il proibizionismo porta soldi ai narcotrafficanti – dice – e tanti immigrati sono reclutati come manodopera per questo traffico». E ancora: «Nessuna dipendenza, liberi di scegliere»; «Lei non dichiara guerra. Nasce con amore dalla terra»;«Di famiglia si muore più che di droga» (corredato dai dati sui delitti familiari).

«Il popolo di questa manifestazione è lo stesso della Mayday – conclude Piobbichi – porta con sé una dimensione di precarietà. Ma segna una novità nel panorama della politica italiana».