Un esito scontato

Tutto si può dire dell’esito del vertice Ue a Bruxelles salvo che sia sorprendente. Erano in ballo due punti nodali: la ratifica della Carta e il bilancio comunitario 2006-2013. Sulla prima, i No della Francia e dell’Olanda – sicuramente ci sarebbe stato quello dell’Italia se da noi non fosse passata in catimini in Parlamento – dovevano pesare come macigni e hanno costretto a sospendere quelli che sarebbero dovuti seguire. La Carta è messa in freezer per un paio di anni, nei quali cambieranno anche alcuni equilibri politici e non solo europei. Quanto al bilancio comunitario che doveva definire l’entità dei fondi comuni e il loro impiego, ed era fondamentale per i paesi dell’Est recentemente entrati nell’Unione, non si è arrivati neanche a un accordo di compromesso per lo scontro fra Chirac e Blair, che se ne rimpallano le responsabilità. La Francia ha chiesto la cessazione del ribasso del contributo inglese estirpato da Margaret Thatcher in anni difficili. Tony Blair non solo non ne ha voluto sapere ma ha messo sotto accusa i criteri con i quali i fondi comunitari sono stati finora ripartiti, perché il 40 per cento di loro andrebbe alle sovvenzioni all’agricoltura che giovano soprattutto alla Francia, riducendo così le spese per la ricerca, l’innovazione e la scuola, priorità decise a Lisbona. Al tavolo europeo si sono voluti regolare i conti fra le due potenze, Francia e Inghilterra, in aperto conflitto sulla guerra in Iraq e in genere sulla questione atlantica. L’una ha messo in scacco l’altra, nel furore dei paesi dell’Est che erano pronti a ridurre le loro richieste di aiuti pur di averne, e perciò ce l’hanno soprattutto con Blair, del quale condividono peraltro la strategia internazionale. Insomma la confusione è al massimo.

Ma non si doveva prevedere? In un’altra situazione forse si sarebbe trovato un compromesso. Non in una fase di guerra ancora guerreggiata in Medioriente, e di crescita minima, se non stagnazione (in Italia addirittura recessione) dovunque salvo che in Gran Bretagna. Gli interessi dell’impero di Bush e la mano invisibile del mercato hanno accresciuto le disuguaglianze e messo in luce i contrasti invece che favorire l’equilibrio. Le conseguenze dell’economia sono sempre politiche: Chirac non può fare a meno del voto degli agricoltori che, se si tagliassero le sovvenzioni, sicuramente andrebbe a Le Pen alle legislative che si svolgeranno tra un anno, e cui Blair gli ha fatto davvero un tiro mancino. Quanto a Schroeder, ha pagato carissimo il dover sottostare alle direttive della Commissione, tagliando spesa sociale, salari e pensioni e a settembre cederà il governo quasi sicuramente alla Cdu di Angela Merkel. Con il che l’asse franco-tedesco, che doveva essere l’ossatura dell’Europa va probabilmente a farsi benedire, mentre Blair è rimasto in piedi malgrado le perdite elettorali e intende portare l’iperliberismo del New Labour in tutto il continente, attaccando quel punto debole che sono effettivamente le politiche agricole. La presidenza semestrale inglese della Ue che sta per partire gli agevolerà ogni manovra.

Ha ragione dunque Valentino Parlato di scrivere che la crisi è politica. L’Europa è divisa nella sua idea di società, nella sua idea di sviluppo e nelle sue opzioni di politica estera. Pensare che attraverso l’unità monetaria, l’euro e la Banca centrale – e dando per inevitabile l’accento liberista della Commissione, confermato anche dalla Carta – si sarebbe proceduto più rapidamente all’unificazione del vecchio e rissoso continente era illusorio. E non solo a causa dei nazionalismi: le tensioni che lo dividono non sono nazionaliste ma di principio e di fondo, attraversano quasi ogni paese e infatti la presunta scorciatoia incontra un ostacolo dopo l’altro