Un esercito di dipendenti

Anche le ricerche confermano l’inganno dei «collaboratori» e di molte partite Iva. Sono praticamente contratti dipendenti mascherati. I dati vengono dalla consueta ricerca periodica di Nidil e Ires Cgil, arricchita quest’anno da un apporto esterno: quello della facoltà di scienze della comunicazione della Sapienza di Roma, che ha svolto un’indagine commissionata dal sindacato. I numeri sono relativi agli iscritti alla gestione separata Inps, dunque di per sé non rappresentano una novità: a quanto si può ricostruire dall’Inps (ma si tenga conto anche di sostenuti livelli di evasione), i collaboratori italiani sono un minimo di 1 milione e mezzo di persone (1.475.111 iscritti), cui si devono aggiungere 209.960 lavoratori con partite Iva individuali. Esclusi i pensionati e gli amministratori di condominio, la fascia più a rischio si concentra su un nucleo di 960 mila collaboratori che dichiarano redditi in media di 8.334 euro lordi annui, come a dire che i «mitici» mille euro al mese sono una vera e propria chimera. Oltretutto, devono caricarci il costo dei contributi, quest’anno innalzati dal governo (dal 18% al 23%) senza però garantire un aumento dei compensi.
Ma quello che più colpisce è la figura del collaboratore, in tutto simile a un dipendente, ma privato dei suoi diritti. Vediamo perché: 1) hanno un unico committente ben l’89% del totale (cifra confermata da una parallela inchiesta presentata da Giovanna Altieri ed Eliana Como, dell’Ires); 2) l’80% lavora presso la sede del committente; 3) il 77% garantisce la presenza nel posto di lavoro; 4) il 71% rispetta un orario di lavoro; 5) il 40% dichiara di avere un margine minimo di autonomia. Si percepiscono come il frutto di un abuso: l’85% degli intervistati dichiara di vedersi come un dipendente mascherato.
Notevoli gli orari di lavoro: il 51% lavora più di 38 ore (anche oltre 45), il 32% da 30 a 38 e il 17% meno di 30 (peraltro molti sono part time involontari). Il 32% lavora da almeno 4 anni presso lo stesso committente (il 50% nel pubblico impiego), e sono intrappolati nelle collaborazioni. Sono contratti «a singhiozzo»: il 33%fino a 6 mesi e poi rinnovi, il 51% di un anno. Allo scadere dell’attuale contratto solo il 5% si aspetta di essere assunto a tempo indeterminato, il 61% si attende un’altra collaborazione, il 26% non sa che rispondere. Per il 52%, soprattutto donne, il contratto cococò è una scelta «subita», solo il 5% l’ha scelto, il 43% (i più giovani) lo vede come una fase «transitoria».
Quali soluzioni? Per Filomena Trizio, segretaria del Nidil Cgil, si deve «eliminare la convenienza economica di questi contratti, riportando a lavoro dipendente tutto quello che non lo è». Per Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, «la soluzione sta nelle proposte di legge Cgil: riformare il codice civile all’articolo 2094 per separare nettamente il dipendente dall’autonomo, eliminando la figura del parasubordinato. Ma se la via scelta dal governo non fosse questa, si deve essere almeno coerenti con il programma dell’Unione, parificando i costi. E’ stata elevata la contribuzione dal 18% al 23%, ma si dovrà arrivare al 33%, portando anche i compensi a livello dei contratti collettivi».