Si comincia. La più grande organizzazione sindacale italiana e una delle più forti del mondo discute nei giorni del XVI Congresso nazionale, la propria linea, gli obiettivi e il programma, e sceglie il gruppo dirigente dei prossimi anni. È l’atto conclusivo di un ampio processo democratico che ha coinvolto milioni di lavoratrici e lavoratori nelle migliaia di assemblee e congressi di base, territoriali e di categoria. Al di là degli attacchi e delle critiche, e persino di qualche aggressione verbale da parte di chi mal tollera la forza della Cgil, la Confederazione si è liberamente confrontata al suo interno decidendo di sostenere con un’ampia maggioranza la linea sindacale di Guglielmo Epifani.
Mentre il Palacongressi di Rimini apre i suoi cancelli ai delegati e agli invitati, è possibile affermare senza iattanza che raramente in Italia negli ultimi anni una forza sociale o politica ha avuto la capacità di confrontarsi al proprio interno con altrettanta chiarezza democratica. Le due mozioni sono state illustrate a tutti coloro che hanno partecipato alle assemblee, si è votato, e si è scelto. Quasi sempre serenamente e senza contestazioni. Questa è una circostanza altamente significativa che enfatizza il ruolo della Cgil nella società italiana, un sindacato che deve fare i conti con una delle più gravi crisi economiche e finanziarie, ma anche politiche e morali della storia del nostro Paese. La Cgil di Guglielmo Epifani negli ultimi quattro anni, in condizioni spesso difficilissime, non ha ceduto di un millimetro nella battaglia per il lavoro e l’occupazione, per la difesa dei diritti e delle libertà, delle condizioni di vita e dei redditi di lavoratrici e lavoratori, di pensionati e giovani precari.
Qualcuno, e in particolare i governi berlusconiani di centro destra, ha tentato di delegittimare la confederazione accusandola di avere assunto posizioni politiche pregiudizialmente ostili al potere dilagante dell’Esecutivo e della sua maggioranza. Non è così: ripetutamente e in decine di circostanze pubbliche la Cgil ha proposto, chiesto, rivendicato momenti di dialogo e di confronto, ha messo sul tavolo proprie ipotesi di riforme economiche e sociali, come sul fisco e sugli ammortizzatori sociali, ottenendo risposte sfuggenti se non, queste sì, pregiudizialmente ostili. Altri sindacati hanno invece deciso di sottoscrivere patti sbagliati con il governo e con gli imprenditori, come quello sulle nuove regole della contrattazione oppure l’avviso comune per la controriforma del diritto del lavoro.
Errori gravi, come quelli commessi sottovalutando la necessità di consultare i lavoratori nel caso di stipula o rinnovo di accordi e contratti che li riguardano. Nonostante ciò non è mai venuta meno, nella Cgil, la volontà di recuperare tutti gli spazi di dialogo con gli interlocutori naturali, la Cisl e la Uil, le imprese e lo stesso governo. Come dimostra la presenza al Congresso di Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti, Emma Marcegaglia, Maurizio Sacconi e Gianni Letta. E laddove è stato possibile, la Cgil e le sue strutture di categoria e territoriali hanno negoziato unitariamente tantissimi contratti (la stragrande maggioranza di quelli rinnovati), accordi aziendali, locali. Rifiutando naturalmente di sottoscrivere quei testi, come per i metalmeccanici, che intendono applicare le intese sul presunto nuovo modello contrattuale. Un nuovo modello che non esiste.
Una Cgil per il Paese, dentro il Paese, dunque. Protagonista, con tanti altri soggetti della società civile, delle battaglie per l’integrazione dei migranti, per la sicurezza del lavoro, per l’ambiente sostenibile, per una corretta informazione, per la pace e la sicurezza interna e internazionale. Un Sindacato che conosce bene i valori della Costituzione e li difende, che rispetta profondamente il ruolo del Capo dello Stato. E che non cancella la propria memoria, il ricordo di donne e uomini che si sono battuti, nella Cgil, per sostenere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Compagni che non ci sono più ma restano nei cuori e nella storia di tutti noi.