«Arrivo all’alba alla stazione di Trastevere dove si imbarcano i detenuti e mi apposto fuori per vederli arrivare con il furgone carcerario. L’aria è umida e fredda e i lampioni sono ancora accesi nella notte che finisce… All’improvviso il carrozzone sbuca dalla penombra e i detenuti cominciano a scendere. Sono incatenati l’uno all’altro e, con le mani così impedite, debbono trascinarsi dietro il sacco della roba. Mimmo è in mezzo e fa molta fatica a portare il suo sacco che è pieno di libri». E’ una pagina del libro autobiografico «I giorni della nostra vita» (edizioni di cultura sociale), scritto da Marina Sereni 46 anni fa; e Mimmo è Emilio Sereni, suo marito. Un nome straordinario tra i protagonisti della storia Pci.
In piazza del Gesù a Roma, in un palazzo antico un po’ decaduto, una targa al primo piano indica la «Biblioteca E. Sereni» presso la sede dell’Istituto «Alcide Cervi», un centro studi « per la storia dell’agricoltura, dei movimenti contadini, dell’antifascismo e della resistenza nelle campagne». Un posto idoneo per un uomo come Emilio Sereni, che ha dedicato gran parte della sua vita di studioso ai problemi sociali, economici, culturali legati alla terra e alla agricoltura.
Fra qualche settimana sarà presentato alla stampa il nuovo volume degli Annali dell’istituto «Cervi» (edizioni Dedalo); è il 19° e la prima parte si intitola «Ambienti e storia della Liguria. Studi in ricordo di Emilio Sereni».
«Cosa potremo tramandare alle generazioni che verranno di figure come quelle di Emilio Sereni, che occupano per intero il Novecento, quel «secolo breve», nel quale le grandi masse irrompono tumultuosamente nella storia?»: è l’interrogativo che si pone Franco Cazzola presentando appunto questo numero degli «Annali».
Emilio Sereni storico, erudito, scienziato, indagatore di prodigiosa cultura, militante antifascista, appassionato uomo politico: una figura complessa, eclettica, difficile da inquadrare in una sola dimensione. Un protagonista del tutto fuori dal comune.
Sereni (di cui proprio il 20 marzo è caduto il 24° anniversario della morte) nasce il 13 agosto 1907 a Roma da una famiglia ebrea; il padre Samuele è medico della Real Casa (ma è anche il “dottore dei poveri” fra gli artigiani e gli operai romani), Emilio – Mimmo, come lo chiamano in casa – è il più piccolo di quattro figli. E’ una famiglia intellettuale; la madre, Alfonsa, appartiene ai Pontecorvo di Pisa; nella cerchia di casa nomi come Eugenio Colorni (ucciso dai tedeschi a Roma nel 1944), Tullio Ascarelli, Nello e Carlo Rosselli, Eugenio Artom, Max Ascoli, Ermanno Cammarata, Pietro Grifone, Manlio Rossi Doria. Una famiglia di colti ebrei osservanti e antifascisti. «L’impronta familiare, la caratteristica dei fratelli Sereni – scriverà il prof. Edoardo Volterra nel ricordare la figura del dirigente comunista a un anno dalla scomparsa – è l’assoluta coerenza, l’altissima coscienza morale. Sin dalla prima infanzia il loro tenore di vita e le loro azioni erano stati indirizzati alla realizzazione degli ideali nei quali credevano».
Ben presto Sereni trova la sua strada. «In pochissimo tempo, con uno studio intensissimo, di cui lui solo era capace», si impadronisce «delle dottrine economiche, dei problemi sociali e politici, della storia dei partiti antichi e moderni, leggendo una quantità enorme di libri e con un completo esame delle opere di Marx e di Engels, da lui lungamente meditate».
Non letture superficiali, ma studi accurati e critici, sui quali si forma il suo pensiero e quelle convinzioni «a cui avrebbe ispirato la sua azione e indirizzato la sua esistenza». Allo stesso tempo si impegna in una basilare, completa preparazione scientifica. In ciò aiutato dalla perfetta conoscenza di una infinità di lingue antiche e moderne; Mimmo è un «mostro»: oltre il tedesco, l’inglese, il francese, il russo, conosce benissimo il greco, il latino, l’ebraico, impara varie lingue slave e anche alcune antiche, comprese quelle espresse in scritture cuneiforme, come l’accadico, il sumero, l’ittita. E negli anni del carcere si impegna a studiare il giapponese. Nota anche la sua passione di bibliofilo, quella che lo spinge «alle sole spese pazze» che egli si sia mai concesse. Italo Calvino, che lo conobbe, lo definisce «estroso, paradossale, napoletano, euforico, efficientissimo, geniale».
Le sue convinzioni non nascono dunque su giovanili entusiasmi, al contrario si formano e maturano sulle basi di una profonda preparazione culturale e di una lunga maturazione critica. I suoi biografi – scrive ancora Volterra – devono dunque partire da qui «per comprendere e ricostruire nella realtà la sua singolare, travagliata e, sotto molti aspetti, veramente straordinaria esistenza».
Niente affatto erudito accademico, pensatore da tavolino. Quando nel 1927 si laurea a Portici in agronomia, è già da un anno iscritto al Partito comunista d’Italia, iniziando un’opera di proselitismo tra il proletariato di Napoli. E nella città partenopea frequenta gli ambienti culturali che gravitano intorno a Giustino Fortunato e Benedetto Croce, conosce Giorgio Amendola. E’ qui che si precisa il suo interesse per la questione meridionale e lo studio dell’agricoltura.
Nel ’30 è a Parigi in contatto con il centro esterno del Pdc’I; nel settembre dello stesso anno è arrestato: «per ricostituzione del disciolto partito comunista, appartenenza al medesimo e propaganda», il Tribunale speciale lo condanna a venti anni, ridotti poi a 15 per il cumulo delle pene. Comincia il duro peregrinare da un carcere all’altro, è a Poggioreale, Regina Coeli, Lucca, Viterbo, Civitavecchia. Liberato per amnistia nel ’35, chiamato a far parte del Centro estero del Pdc’I, espatria clandestinamente raggiungendo Parigi; qui è responsabile del lavoro culturale e redattore capo di « Stato operaio» e «La Voce degli italiani». Ed è nella capitale francese che lo coglie lo scoppio della seconda guerra mondiale: assume l’incarico di organizzare l’attività politica fra gli emigrati. E’ lui l’estensore del documento di Tolosa del settembre 1941, che è in pratica l’atto di nascita di quel comitato d’azione di cui fanno parte, oltre Sereni e Dozza per il Pci, Nenni e Saragat per il Psi, Silvio Trentin e Fausto Nitti per Giustizia e libertà.
Continua a studiare – è di questi anni «La questione agraria e la rinascita nazionale» -; ma intanto è in azione prima a Tolone e poi a Nizza per organizzare il lavoro di propaganda tra le truppe italiane di occupazione. Fonda il giornale «La Parola del soldato», ma non sta certo seduto alla scrivania. Nominato commissario politico dei Franc tireurs et partisans delle Alpi Marittime compie azioni di sabotaggio, attentati, colpi di mano.
Nel giugno del ‘43 è arrestato; il tribunale straordinario di guerra della IV armata italiana lo processa e lo condanna a 18 anni di carcere per «associazione sovversiva, emigrazione, istigazione di militari, documenti falsi». Dopo falliti tentativi di evasione dal carcere di Fossano, resta rinchiuso per sette mesi nel braccio della morte alle Nuove di Torino. Solo nell’agosto 1944 riesce a fuggire e si stabilisce a Milano, dove il partito gli assegna l’incarico di dirigere l’ufficio di agitazione e propaganda.
E’ nella lotta di resistenza, con Longo rappresenta il Pci nel Cln ed è membro del comando generale delle brigate Garibaldi; nell’aprile ‘45 è tra i dirigenti dell’insurrezione al Nord. Al V° congresso del Pci (29 dicembre 1945) è eletto membro del Comitato centrale e della Direzione (della quale continuerà a fare parte fino al 1975).
Due volte ministro, senatore, membro dell’esecutivo mondiale dei Partigiani della pace, presidente dell’Alleanza nazionale dei contadini, direttore di «Critica marxista»: anche la sua attività, come la sua capacità di studio, è eccezionale, instancabile.
Tra le sue opere principali «Il capitalismo nelle campagne», «Il Mezzogiorno all’opposizione», «La questione agraria nella rinascita nazionale italiana», «La rivoluzione italiana»; ma i suoi scritti sono innumerevoli. Quando il 20 marzo 1977 muore, il suo archivio – diventerà il «Fondo Emilio Sereni» – conta oltre duemila buste, ci sono 63.000 pezzi e 1.843 voci, dalle questioni agrarie al Mezzogiorno, dall’archeologia e dall’antichità alla storia economica e sociale. Non solo una cultura di stampo umanistico, nei suoi interessi c’è posto per matematica, fisica, cibernetica, linguistica; anche per la « cultura materiale», il folclore, i canti popolari, i miti, i costumi, la storia dell’alimentazione. La bibliografia curata da Giuseppe Prestipino elenca ben 1.071 scritti, il primo dei quali risale al 1930.
Per alcuni fu troppo ortodosso, troppo ideologicamente inflessibile, troppo aderente al modello sovietico. Nel drammatico ‘56, al tempo dell’Ungheria, si schierò dalla parte dell’Urss. «Emilio Sereni – scrive Gerardo Chiaromonte – aveva una visione drammatica della lotta di classe a livello internazionale; e questa visione drammatica lo portava a considerare che non ci si poteva staccare in alcun modo dall’Unione sovietica».
Comunista appassionato e scienziato rigoroso, lui non vi trovò mai contraddizione.