Un campo di battaglia di nome scuola

Le scuole irachene, a lungo spacciate dai funzionari americani come un grande successo in un territorio che di solito ne è privo, si trovano sempre più spesso al centro del fuoco incrociato della guerra civile che sta aumentando nel Paese.

Il Presidente Bush ha parlato più volte della riabilitazione e della costruzione delle scuole come di una storia dimenticata dei progressi in Iraq. USAID, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, ha speso circa 100 milioni di dollari nel sistema educativo iracheno e cita la riabilitazione di 2.962 edifici scolastici come un risultato sorprendente.

Ma oggi in tutto il Paese, vengono chiusi i campus universitari, gli studenti e gli insegnanti sono allontanati dalle loro classi, e i genitori sono lasciati a preoccuparsi che una generazione di bambini traumatizzati rimarrà senza istruzione.

Gli insegnanti raccontano storie di studenti rapiti mentre andavano a scuola, di colpi di mortaio che cadono sui campus o nelle vicinanze, e di insegnanti uccisi davanti ai bambini.

Questo mese dei ribelli hanno distribuito degli opuscoli nei campus, alcuni in busta chiusa con un proiettile di Kalashnikov.

“Alla gente onesta di Baghdad:” diceva uno degli opuscoli, “vogliamo che abbandoniate le scuole, gli ospedali, gli istituti, le facoltà, e le università fino a quando il governo illegale di Maliki [il Primo Ministro iracheno] non verrà deposto. Vogliamo la vostra totale collaborazione.”

In Iraq non esistono attualmente statistiche credibili sulla frequenza scolastica a livello nazionale, in un paese dove il sistema scolastico un tempo era considerato un modello nel mondo arabo. Ma abbondano casi di scuole chiuse o pressoché deserte perché i genitori abbandonano il paese o tengono i figli a casa.

Suaad Ahmed, 35 anni, che abita nel distretto Mansur della capitale, un giorno ha sentito il rumore di spari vicino casa e si è messa a correre verso la scuola di suo figlio. Quando è arrivata ha assistito alla sparatoria tra bande rivali armate nel cortile della scuola, tra le grida dei bambini.

“Usavano il cortile come campo di battaglia”, dice la Ahmed. “Si nascondevano dietro gli alberi per ripararsi e sparare.”

Il suo e gli altri bambini dell’asilo sono rimasti, per questa volta, illesi. Ma la scuola è rimasta chiusa per settimane.

Le scuole di Baghdad sembrano essere state le più colpite dalla violenza, ma anche i campus universitari sono rimasti chiusi per mesi at a time nelle province di Anbar e Diyala. Lunedì, uomini armati a Dujayl, 65 chilometri a nord della capitale, hanno rapito cinque insegnanti di una scuola elementare mentre andavano a lavorare. Le scuole sono state chiuse a oltranza.

Il Ministro dell’Educazione, Khudair Khuzai, nega che le scuole stiano venendo prese di mira, dicendo che sono vittime della caotica situazione irachena.

“Gli incidenti in cui studenti e insegnanti sono coinvolti nella violenza sono il risultato di attacchi indiretti”, dice Khuzai. “Per esempio, il rapimento a scopo di riscatto di uno studente non può essere in alcun modo collegato alla scuola ma è piuttosto un affare di famiglia.”

Ma l’ampiezza della violenza è tale che i luoghi pubblici, le piazze, le file ai distributori di benzina, le scuole, e i mercati all’aperto, sono diventati zone di battaglia.

I funzionari del ministero dell’Educazione hanno fatto poco per rendere più sicure le scuole di Baghdad. Agli agenti presenti nelle scuole non è permesso portare armi, e almeno in un caso, un agente è stato ucciso da uomini armati.

In una scuola elementare a Mansur, un quartiere di grandi case un tempo noto per le buone scuole e la violenza relativamente ridotta, la preside si fa beffe di un agente non armato inviato dal ministero dopo che il campus era stato minacciato.

“Cosa può fare? Abbiamo persino iniziato a prenderci gioco di lui”, dice la preside, che parla a condizione che non venga usato il suo nome. “Quando arriverà un gruppo di uomini armati, si metterà a gridare: Ecco la preside! Uccidetela!”

La preside, una donna sulla trentina, dice che adesso ha cominciato a portare un revolver quando va al lavoro. “Non posso rischiare di essere rapita”, ci dice per giustificarsi.

All’inizio dell’anno scolastico lo scorso autunno, sono arrivati sei studenti, dice. Ma a poco a poco la frequenza è aumentata. Poi la preside ha ricevuto una serie di minacce anonime sul suo cellulare.

“Un uomo ha detto che dovevamo chiudere la scuola, altrimenti sarebbe venuto e l’avrebbe fatta crollare sopra le nostre teste”, dice.

Lei preso la minaccia seriamente. Due mesi fa, un suo amico preside di un’altra scuola di Mansur era stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre tornava a casa. Nel corso dell’ultimo anno scolastico, due studenti della sua scuola erano stati rapiti e tenuti per settimane per chiedere un riscatto. Combattenti sciiti e sunniti si sono scontrati recentemente per le strade di Mansur, e nel quartiere è avvenuta una valanga di omicidi.

La preside ha chiesto aiuto al ministero, ma ha continuato a tenere aperta la scuola. Qualche giorno dopo, l’uomo anonimo ha richiamato.

“Ah, la scuola è ancora aperta”, ha detto. “Perché non l’hai chiusa? Ho già ucciso uomini grandi e grossi, che m’importa di te? Sei soltanto una donna.”

A questo punto la preside ha chiuso la scuola per un po’, la prima di un serie di chiusure. Adesso frequentano soltanto 150 studenti su 420. La preside teme che prima o poi dovrà interrompere le lezioni per sempre. Ci racconta che la scorsa settimana alcuni uomini armati hanno ucciso due uomini che erano seduti in una macchina accanto alla scuola.

La violenza ha colpito alcuni dei campus più esclusivi del Paese. Alla Baghdad College Preparatory School, una delle scuole superiori più famose, quest’anno centinaia di studenti si sono ritirati: 60 soltanto dai corsi dell’insegnante Hussein Khalifa.

Il campus è stato chiuso lunedì, dice Khalifa, a causa di scontri tra bande armate rivali.

“Due dei miei studenti sono stati rapiti quest’anno e poi rilasciati perché i loro genitori hanno pagato un riscatto”, dice Khalifa. Uomini armati hanno rapito un ragazzo tirandolo giù da un pulmino scolastico il mese scorso. “Credo che i ragazzi si siano abituati, perché l’anno scorso sono stati rapiti sei dei miei studenti”.

Khalifa dice che i disordini incidono sul lavoro e sulle aspirazioni scolastiche degli studenti migliori e più brillanti di Baghdad.

“Non hanno nessuna speranza o motivazione”, dice. “Anche se si laureassero, cosa succederebbe? Cosa faranno in questo paese dove tutti si ammazzano tra di loro?”

Persino quelli che riescono ad andare a scuola spesso trovano difficoltà in aritmetica e arabo, ossessionati da ricordi di genitori ammazzati, compagni rapiti, e dal rumore delle armi da fuoco proveniente dall’esterno, dicono gli insegnanti.

Maha Hamid, lei stessa insegnante, ha ritirato i suoi due figli, Mustafa, 12 anni, e Marwan, 10 anni, da scuola per tre settimane, mentre cercava il marito, che è stato rapito dal suo negozio di alimentari il mese scorso e non è ancora stato ritrovato.

La Hamid ha riportato da poco i ragazzi a scuola e ha ripreso il suo lavoro di insegnante di inglese ed educazione fisica. Sperava di mostrarsi coraggiosa, soprattutto per due sue alunne studiose i cui padri sono stati uccisi due mesi fa.

Ma non ce l’ha fatta. “I ragazzi dicevano: oggi c’è il sole, per favore portaci fuori per una lezione di ginnastica”, dice. “Ma io ero depressa, e mi chiedevo: cosa penserà la gente? Il marito è stato rapito e adesso lei fa ginnastica con i bambini.”

La Hamid era fiera della sua scuola. Adesso è piena di posti vuoti e aule deserte, perché sono rimasti 100 studenti su 700.

“Abbiamo perso ottimi insegnanti. Una donna insegnava in prima, ma suo figlio è stato ucciso, quindi adesso non lavora più”, dice. “In questo momento non abbiamo insegnanti di matematica. Mancano anche gli insegnanti di storia e geografia. Avevamo quattro insegnanti per la prima, ma adesso sono tutti andati in altre città o in altri paesi.”

Questa settimana, la Hamid ha detto di essersi pentita di aver mandato di nuovo i figli a scuola. “Li ho fatti accompagnare in macchina da un vicino, ma quando sono scesi, uomini armati per strada sparavano all’impazzata”, dice. “I miei figli sono corsi fuori dalla macchina e si sono nascosti fino a quando la sparatoria è terminata.”

Mustafa Jafar, 10 anni, vive nel quartiere Arbataash Tamuz di Baghdad, dove spesso resta a casa a causa degli scontri tra miliziani sciiti di Sadr City, a est, e sunniti di A’adhamiya a ovest.

Con un contegno serio che nasconde la sua giovane età, Jafar dice che a causa della violenza molti tra i suoi migliori amici e insegnanti preferiti si sono allontanati da Baghdad.

“L’ultima cosa di cui ho parlato con il mio amico Yunis Mahmud è stata la partenza della sua famiglia per la Siria”, dice. Alcuni funzionari siriani avevano detto alla famiglia che “il 5 dicembre sarà l’ultimo giorno in cui saranno accettati studenti iracheni, quindi questo è un problema per loro”, dice.

“C’è anche un’insegnante donna che è stata minacciata. Suo fratello è stato ucciso dagli americani, e suo figlio è in classe con me in prima. Andranno nel Kurdistan dove è più sicuro, quindi dovrà rimandare gli studi per quest’anno.”

Quando va a scuola, Jafar è preoccupato

“Sono preoccupato e ho paura”, dice. “Una volta, gli insegnanti hanno trovato una bomba dietro la scuola.”

(Traduzione di Simona Schimmenti – Traduttori per la Pace per Osservatorio Iraq)