Un calcio al qualunquismo

Il calcio come “forza di popolo”? Così scrive Darwin Pastorin qualche giorno fa sulla prima pagina di “Liberazione”. Nel suo corsivo intitolato Azzurri ritrovati, perché tifare contro?, Pastorin scrive: “Ma perché un italiano deve essere ‘contro’? Che malinconia. Lasciamo il calcio fuori dalla politica, dalle divisioni di parte. Salviamo il football (‘forza di popolo’, come la letteratura), almeno per questo mese. Almeno per il mondiale”.
Vista l’attualità dell’argomento, vale la pena provare a interloquire a distanza con Pastorin.
Non ci è ben chiaro perché un partito come il nostro mantenga sacrosante posizioni critiche e dialettiche sui temi sociali e del lavoro (e sempre più anche sulle questioni del pacifismo, di genere, ambientali), mentre spesso sui temi di ciò che Gramsci ci ha insegnato a intendere come “cultura” –e lo sport è fra questi- rischi di assumere posizioni pericolosamente vicine a forme di qualunquismo.
Non abbiamo ripetuto, subito dopo il voto politico, che l’Italia è penetrata purtroppo in profondità da un’ideologia di destra che trova uno dei suoi sintomi più evidenti e dei suoi motori più efficaci nella logica pervasiva della spettacolarizzazione?
Questo calcio, fatto di “ragionieri in mutande” come diceva il tifosissimo Carmelo Bene, ha davvero qualcosa ha che fare con una “forza di popolo”? O non è proprio il tentativo costantemente messo in atto dai mezzi di comunicazione di massa di presentarlo come tale, un modo per alimentare surrettiziamente uno spettacolo narcotizzate, vuoto (ma ben pieno di interessi economici e abbondantemente imbevuto di conformismo sociale)?
Un calcio doppiamente menzognero perché umilia il vero sogno sportivo, quello generato dal grande gesto atletico, di cui non è quasi mai traccia sul teleschermo. Probabilmente quasi tutti noi guardiamo le partite in televisione, ma questa non è una buona ragione per impedirci di provare a capire come stanno le cose.