Un botto con la licenza

Il corpo di Aniello Novellino è stato ricomposto solo ieri in tarda mattinata, a quasi 24 ore dallo scoppio della fabbrica dello zio Alfonso, in cui ha perso la vita oltre allo stesso titolare e un terzo dipendente, Alberto Tartaglione. A Gragnano si è continuato a cercare tutta la notte, anche per portare almeno un po’ di sollievo ai parenti più stretti delle vittime, che non si sono mai mossi dalla collina. Un polmone è stato ritrovato alle prime luci dell’alba a ottanta metri di distanza dal luogo della deflagrazione, quindi volontari e forze dell’ordine hanno iniziato a setacciare in lungo e largo un’area di duecento metri quadrati, cercando di fare in fretta. Verso ora di pranzo finalmente è avvenuta la ricomposizione: la testa è stata rinvenuta in un cespuglio, il busto su un albero. Per la famiglia il ritrovamento ha almeno segnato la fine di una parte dello strazio. Ora che per ovvi motivi non si procederà all’autopsia, ci sarà da aspettare solo il via libera del tribunale per poter celebrare i funerali. Aspetta anche il sindaco Michele Serrapico, compagno di scuola di Alfonso, per proclamare il lutto cittadino.
Al procuratore di Torre Annunziata Diego Marmo il compito di proseguire le indagini per scoprire cosa è successo lunedì alle 16.45. Si avanzano due ipotesi, la prima è la classica sigaretta accesa nel momento sbagliato, anche se chi conosceva i Novellino esclude questa possibilità poiché si trattava di fuochisti esperti. Alfonso, il proprietario, per campare confezionava botti da trent’anni, da quando ne aveva 17. Suo figlio Ferdinando era morto nel 1996 a soli 16 anni per lo scoppio di un’altra fabbrica di famiglia.
Più probabile che a causare la violenta esplosione sia stato l’uso improprio del bilancino, un attrezzo che serve per mettere i tappi di plastica ai rendini, contenitori delle miscele coloranti esplosive. Una pressione troppo forte ha potuto provocare delle scintille o lo scoppio di uno dei petardi, che avrebbe innescato una reazione a catena. A dare fornire spiegazioni ulteriori potrebbe essere Gennaro Novellino, un altro nipote di Alfonso che, uscito dagli opifici un attimo prima dello scoppio, è stato travolto dall’onda d’urto dell’esplosione in macchina ma non ha riportato ferite gravi.
Il giorno dopo la tragedia è però il momento delle accuse. L’azienda a conduzione familiare dei Novellino aveva infatti riaperto i battenti da pochi giorni e lavorava sodo per una commessa pugliese da consegnare entro venerdì. Il proprietario aveva avuto la revoca dei permessi nel 2001, proprio perché operava senza i requisiti di sicurezza. Una sentenza del Tar Campania nel 2005 aveva annullato il decreto, ma la prefettura di Napoli aveva a sua volta impugnato la sentenza palesando ai giudici violazioni «delle norme più elementari di sicurezza nella fabbricazione dei fuochi». Perché dunque la licenza è stata rinnovata all’inizio di aprile?
Lo scontro è tra legalità e sopravvivenza. I Novellino, una famiglia di «mastri» fuochisti, non sa fare altro per guadagnarsi da vivere, ma è necessario e doveroso trovare una mediazione tra lavoro e sicurezza.
Ieri nel pomeriggio gli artificieri hanno fatto brillare l’intera zona, dopo aver scartato l’ipotesi di portare in un altro luogo i botti inesplosi e proseguire così le indagini. Un intervento reso indispensabile a causa di una frana della collina dissestata dopo l’esplosione. L’area resterà sotto sequestro anche se della fabbrica non è rimasta traccia.