Liberty è l’associazione britannica in prima linea nella difesa dei diritti civili contro le norme anti-terrorismo del new labour. Nell’ufficio di Tabard street, nel centro di Londra, abbiamo discusso con Jago Russell, che per l’organizzazione si occupa della legislazione antiterrorismo e del suo effetto sulla comunità musulmana.
Il governo laburista cercherà di innalzare a 90 gli attuali 28 giorni di detenzione, senza accuse formali, per i «sospetti terroristi». Come valutate questa mossa di Tony Blair?
Subito dopo gli attentati del 7 luglio, l’esecutivo promise che non avrebbe varato leggi scritte in fretta e furia, senza un’accurata riflessione sul loro impatto sulla società. Si è verificato esattamente il contrario. Ci ritroviamo già con 28 giorni di carcerazione senza incriminazione, uno dei periodi più lunghi di tutta l’Europa occidentale. Non ci sono motivi per giustificare la reclusione «amministrativa» di un sospetto per tanto tempo. In un primo momento hanno provato ad addurre problemi di comunicazione con persone che spesso parlano arabo. Investano di più in traduttori invece di violare i diritti civili! Nello stesso tempo credo che ci sarà una grande battaglia quando la proposta approderà in parlamento, perché la stessa Commissione che le ha dato il primo via libera ha sottolineato che potrebbe avere un impatto negativo sulla comunità musulmana.
Quali dei provvedimenti varati contro l’emergenza terrorismo vi preoccupano di più?
Siamo in presenza di un attacco complessivo ai diritti civili in Gran Bretagna, dall’11 settembre, con l’entrata in vigore una serie di misure preoccupanti. La prima fu la detenzione a tempo indeterminato – solo per i non britannici – a danno dei «sospetti terroristi». Nel dicembre 2004 questa misura fu cancellata dalla House of Lords, perché giudicata «discriminatoria» e «una violazione dei diritti dell’uomo». Poi fu la volta dei cosiddetti control orders, che permettono a un ministro d’infliggere arresti domiciliari a un sospetto terrorista, sulla base di prove segrete. Il giudice Justice Sullivan ha recentemente stabilito che anche questa norma «viola i diritti umani», ma è tuttora in vigore in attesa che si pronuncino la Corte d’Appello e la House of Lords. Siamo però ancora nell’ambito di decisioni che colpiscono una cerchia ristretta, i «sospetti terroristi». Quello che fa più paura è il reato di «glorificazione del terrorismo» – 10 anni di carcere massimo – che può colpire chiunque, ad esempio chi sostiene che gli attentati suicidi dei palestinesi in Israele sono giustificabili.
Ritenete fondate le preoccupazioni della comunità musulmana britannica?
Certo, si sentono nel mirino della legislazione anti-terrorismo e giustamente. I nuovi poteri di fermare e perquisire dati alla polizia vengono usati soprattutto contro di loro. E che dire dell’assalto a Forest gate? Se fossi un islamico e avessi visto quello che è successo un mese fa in quel quartiere di Londra avrei paura che una cosa del genere potrebbe capitare anche a me. Ad essere colpiti sono la libertà d’opinione e i principi del giusto processo. Restringendo la prima non si fa altro che gettare nelle braccia degli estremisti chi potrebbe essere recuperato attraverso la normale dialettica democratica.
C’è un futuro per i diritti civili nel contesto di una «guerra al terrorismo» che pretende sempre meno limitazioni?
Sì. Credo che sia sempre più necessario incoraggiare la popolazione a capire cosa sono i diritti umani e i diritti civili e parallelamente dare battaglia alle leggi draconiane che vengono di volta in volta proposte. Se la lotta al terrorismo prosegue senza rispettare i diritti civili è destinata senz’altro alla sconfitta.