Un atelier di individualisti e malinconici in un ex pastificio

Ci sono storie che attendono d’essere raccontate, storie depositate nella memoria soggettiva, in una sorta di limbo tra la cronaca recente e l’oblio definitivo. Storie legate a un luogo particolare, a rischio di somiglianza con l’aneddotica locale, con i vizi che spesso accompagnano folclore e localismo. Storie, ancora, capaci di sprigionare anche una dimensione più universale. Le storie dei gruppi artistici del Novecento – si pensi soltanto alle Avanguardie storiche, all’espressionismo, al surrealismo – sono spesso incapsulate nell’atmosfera di una città, nel fermento culturale di una capitale. Da questa prospettiva la metropoli novecentesca – Parigi, Berlino, Vienna – è uno spazio intessuto di storia, un luogo di produzione di arte e cultura, tempo rintracciabile – come insegnava Benjamin – in ogni frammento urbano. Sulla scia del Novecento – sia pure nella sua dissoluzione – si colloca la storia di un gruppo artistico – anzi, di un non-gruppo, come si vedrà – raccontata da Roberto Gramiccia – medico per professione e critico d’arte di Liberazione – nel suo ultimo lavoro La Nuova scuola romana. I sei artisti di via degli Ausoni (Editori Riuniti, pp. 208, euro 18). E’ una vicenda ambientata in un luogo specifico, nella microdimensione di un quartiere storico di Roma, il rione di San Lorenzo – per la precisione, in un edificio, l’ex pastificio Cerere di via degli Ausoni 4. Nello stabile, negli anni ’80, impiantano il proprio atelier sei artisti che personificano la storia della cosiddetta Nuova scuola romana: Ceccobelli, Dessì, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella e Tirelli. Sei personaggi, sei autori che vivono ed esprimono nella loro produzione artistica il legame con il quartiere che li ospita. San Lorenzo non è un quartiere qualunque. Nasce come un rione popolare, a forte composizione di artigiani e operai. E’ per tradizione un quartiere politicizzato, sin da quando si distingue per essere una roccaforte antifascista durante gli anni dell’ascesa del fascismo al regime. Negli annali della storia italiana entra per la sorte subìta nei bombardamenti angloamericani del 19 luglio ’43. La sua vocazione politicizzata si estende fino agli anni della contestazione studentesca e all’esplosione del ’68, e da qui in avanti sino a tutti gli anni Settanta. La piccola aggregazione molecolare dei sei artisti protagonisti della vicenda, raccoglie i frammenti esplosi di questa storia depositata alle loro spalle – consciamente o meno – nei muri e nelle strade del quartiere. La rielaborano, la rimasticano, la digeriscono, fino a restituirla – sotto altre e diverse forme – nelle loro opere. Sarebbe però inesatto forzare oltre modo la collocazione locale degli artisti che fanno parte del gruppo, «non è dubbio che le radici dell’opera di ciascuno affondino nella grande scuola della cultura visiva internazionale; come non è dubbio che l’interesse suscitato dalla loro opera, ben oltre i confini nazionali, li abbia abbondantemente emancipati molto precocemente da una dimensione puramente “romana”. Gli artisti di cui mi occupo sono internazionali non solo per naturale aspirazione ma per le esperienze fatte, gli arricchimenti ricevuti e dati nelle province, anche quelle più remote, dell’arte mondiale ». Non lo è prettamente locale anche perché le vicende della Nuova scuola romana hanno alle spalle una storia densa di esperienze, movimenti e gruppi artistici sorti nella Capitale. Dalla Scuola di via Cavour – animata nei primi anni Trenta dal neoespressionismo di Mario Mafai, Antonietta Raphael Mafai, Luigi Bonichi, detto Scipione, e Marino Mazzacurati – al tonalismo della cosiddetta Ecole de Rome, guidato da Roberto Longhi, Emanuele Cavalli, Giuseppe Capogrossi e Roberto Melli. Dall’Art club di Enrico Prampolini – cellula ante litteram del polimaterismo alla Burri – al gruppo «marxista e formalista» di Forma 1 (Dorazio, Turcato, Accardi, Sanfilippo…), passando per la fervida, intricata Scuola di piazza del Popolo (Schifano, Angeli, Festa, Fioroni…). Per mille fili che legano la Nuova scuola romana ai gruppi e alla storia che la precedono, altri mille si interrompono, altri mille ne annunciano una predisposizione alla rottura e al distacco. Rispetto ai movimenti che lo precedono il gruppo di via degli Ausoni non si muove più, ad esempio, su

una dimensione di appartenenza collettiva. Lavora piuttosto come un “non-gruppo”. Niente a che vedere con le Avanguardie storiche, niente a che vedere con i movimenti tipo dadaismo, espressionismo,

surrealismo, i quali elaborano manifesti ed estetiche collettive, proclamano ufficialmente l’adesione dei propri esponenti a valori artistici, politici e ideologici espliciti. L’epoca dei grandi movimenti collettivi, della politicizzazione di massa è ormai tramontata quando gli artisti della Nuova scuola romana si presentano sulla scena storica. «L’autentica attitudine artistica degli anni ’80 – scrive nella prefazione Lóránd Hegyi, direttore del Museo d’arte moderna di Saint-Étienne e del Palazzo delle arti di Napoli – si è sviluppata non più nei movimenti minoritari, negli ismi, in gruppi o scuole, ma in costellazioni individuali: la strategia personale-individuale ha sostituito il movimento dell’avanguardia-minoranza. Al posto di grandi strategie, universali ed espansionistiche, si situano all’orizzonte le

“piccole narrazioni”, concrete, sensibili e immediate che riflettono e interiorizzano la situazione attuale. L’ex pastificio di via degli Ausoni era un’officina di questa nuova “piccola narrazione” che incarnava un’attitudine melanconicointellettuale, scettico-manieristica, alla ricerca di una propria, specifica posizione dopo lo Sturm und Drangdella Transavanguardia ». Come gli anniOttanta di cui è stata un riflesso, la Nuova scuola romana è apparsa nel momento di riflusso delle utopie. Individualistica e alla ricerca di una propria identità mentre, intorno, si disgregavano le collettività.