Un articolo di Andrea Catone inviato a Liberazione (che ha deciso di non pubblicarlo)

Alla domanda che F. Giannini pone al compagno Ferrero sulle ragioni che impedirebbero un processo di unificazione dei comunisti, a partire dall’unità di Prc e Pdci (Liberazione 16/10/09), risponde un articolo intitolato “l’unità dei comunisti non è sufficiente per la trasformazione sociale” del segretario regionale umbro S. Vinti. Il quale tuttavia non sostiene che l’unità dei comunisti sarebbe insufficiente alla costruzione di un fronte sociale e politico anticapitalista (cosa che nessun comunista serio, che non pensa in modo autoreferenziale, mette in dubbio), ma che essa sarebbe un vero e proprio ostacolo a tale costruzione.

Di fronte alla questione di profilo strategico dell’unità dei comunisti, la risposta è del tutto elusiva, non entra nel cuore del problema. Contro l’unità dei comunisti, Vinti scrive che

1. essa “stravolgerebbe” l’esito del congresso di Chianciano.

Ma cosa è stato l’ultimo congresso del PRC? Non ha avuto forse come posta in gioco l’affermazione dell’opzione comunista del PRC contro il progetto di Vendola di costruire un’altra “cosa” di sinistra, diversa e alternativa ad essa? Non è stato forse vissuto così dalle decine di migliaia di compagni che hanno strenuamente lottato (e in Puglia con armi assolutamente impari) nei congressi? Se è stato questo (e non un regolamento di conti tra ceti politici all’indomani della clamorosa disfatta dell’Arcobaleno), allora il rafforzamento dell’opzione comunista con l’unificazione dei comunisti non sarebbe affatto lo stravolgimento di Chianciano, ma un suo positivo sviluppo.

2. Manca l’elemento fondamentale per una unificazione: una cultura politica comune. Se davvero fosse così, non vi sarebbe una base reale per proporre la riunificazione, e bisognerebbe anzi contrastare con forza tale proposta. Ma è proprio così? Quali sono oggi i fattori profondi (non effimeri, di superficie, di ‘umore’) di divergenza con i compagni del Pdci? Lo “scopo finale” (Endziel)? forse che il Pdci colloca il suo agire politico all’interno dell’orizzonte capitalistico e delle sue compatibilità (quale è l’orizzonte ‘riformista’ con vocazione “governista” abbracciato da Vendola)? O forse è una concezione della politica tutta all’interno del quadro istituzionale o, viceversa, tutta fuori di esso, extraparlamentare, mentre i comunisti combinano entrambe? O il riferimento ad uno “stato guida”, l’adesione ad un ‘partito internazionale’ incompatibile con la politica comunista? Oppure il dogmatismo? O il “revisionismo”?

Nulla di tutto questo. L’argomentazione principale di Vinti è che nel Pdci vi è il “centralismo democratico”, che il Prc ha rigettato sin “dalla sua fondazione”.

Ora, a parte il fatto che autorevoli esponenti della maggioranza che governa il partito lo hanno di recente riproposto (cfr. Burgio, Liberazione 4.8.09), gli esempi prodotti da Vinti sono palesemente inconsistenti: “il Pdci deve riunire il CC anche per firmare un comunicato stampa unitario”. Ma il segretario regionale umbro cosa propone? Una gestione anarchica e caotica del partito, dove il primo che passa decide per tutti gli altri? Oppure, una gestione cesaristica e autoritaria, in cui il segretario decide tutto, come è accaduto con la deleteria gestione bertinottiana, quando i compagni del cpn apprendevano dai media di importantissime decisioni (come la costituzione della SE)? (Invero anche l’annuncio della federazione della sinistra alternativa è avvenuto prima di una discussione negli organi di direzione del Prc).

L’altro forte punto dirimente indicato da Vinti sarebbe nel fatto che il Prc dal 2001 è “interno a qualsiasi mobilitazione o vertenza” contro il neoliberismo e la guerra, mentre “il Pdci si presenta solo ai cortei con le sue bandiere”. Sulla “internità” ai movimenti, liberiamoci per favore della retorica parolaia! I comunisti hanno alle spalle una grande tradizione che li ha visti promuovere e partecipare ai movimenti di massa, ma da comunisti, il che non significa agitare bandiere o striscioni, ma elaborare – sulla base di quello che gli elementi più avanzati esprimono – una linea politica che, contro posizioni economico-corporative, miri sempre a collegare la lotta particolare con quella generale per il socialismo. I comunisti sono interni ai movimenti di massa, ma non alla loro coda, non annullando la loro funzione di comunisti.

Se le obiezioni fossero solo quelle qui proposte, non vi è alcun razionale motivo per non avviare un confronto leale, aperto e concreto tra i due partiti al fine di arrivare rapidamente alla riunificazione per dar vita ad un partito comunista di più ampio respiro. Se vi sono obiezioni politicamente consistenti, è bene che si manifestino alla luce del sole, che si avvii una seria discussione in merito. Non c’è nulla di peggio – in una situazione politicamente drammatica per i comunisti, che richiede il massimo di chiarezza nelle scelte – dell’ambiguità e dei silenzi, del fare i pesci in barile.

Andrea Catone
Responsabile della Formazione – segreteria regionale PRC- Puglia