Ho da sempre sostenuto che i processi unitari sono processi storici e come tali sono determinati dai tempi della storia, cioè normalmente lunghi mentre le accelerazioni sono sempre legate ad eventi dalle grandi dimensioni.
Per questa ragione vedo con molta diffidenza i diversi tentativi di unificazioni a sinistra come al centro e a destra in una specie di pendant nel quale le forze politiche si dispongono simmetricamente l’una rispetto alle altre.
E la diffidenza si fa vieppiù profonda perché vedo in tutto ciò molto politichese e poca politica.
Mi spiego. Che i vari gruppi e formazioni politiche in cui la sinistra si è frammentata nell’ultimo quarto del secolo scorso abbiano rappresentato, e tuttora rappresentino insieme e contraddittoriamente, sia la sconfitta politica delle classi lavoratrici italiane, sia la risorsa per una riorganizzazione di una loro forza politica per riprendere un nuovo cammino di riconquista e di sviluppo di posizioni più avanzare nel rapporto con le classi dirigenti borghesi vincitrici, per me è chiaro.
Se così stanno le cose allora un processo di unificazione dei lavoratori sul terreno politico non solo è auspicabile, ma diventa un obbiettivo di grande portata per l’immediato e per il futuro. Dirò di più, sono maturi i tempi e necessaria l’azione, perché nel mondo del lavoro (che non è fatto di soli operai dipendenti!) la necessità di una forza politica che lo rappresenti globalmente sul terreno politico è sentita diffusamente ed è avvertito il pericolo che il malessere della società si organizzi proprio intorno al populismo delle classi dirigenti borghesi.
Non mi pare però che la direzione intrapresa sia questa. C’è chi spinge per il “superamento” dei partiti e gruppi della sinistra per costruire una “cosa rossa “e c’è chi vagheggia una loro federazione.
In ambedue i casi si hanno in sostanza di mira due obbiettivi : le elezioni amministrative dell’anno prossimo e le successive elezioni europee che sono certamente obbiettivi importanti, ma per i quali basterebbe un accordo elettorale, più semplice e più pratico.
Ed infatti tutte e due le proposte sono caratterizzate dalla ambiguità.
Quando si dice “cosa “ si indica un oggetto che non si riesce a definire ed anche l’aggiunta dell’aggettivo “rossa “ non aiuta certo nella definizione e quando si dice “federazione” ci si riferisce ad una forma di aggregazione, non alla sua sostanza.
Io credo che occorra rovesciare l’impostazione del problema e porci, noi di Rifondazione Comunista, la domanda: quale partito vogliamo essere in un possibile processo di unificazione delle sinistre italiane.
Ho già detto in una recente altra occasione che alla sinistra occorre un partito comunista che abbia queste caratteristiche:
1) Che sia capace di radicarsi profondamente nei luoghi dove si lavora. Questo vuol dire che noi dobbiamo organizzare una presenza politica attiva nelle fabbriche, nei laboratori artigiani, nei centri commerciali, nei negozi, negli uffici pubblici e privati e via via elencando. In quei luoghi i nostri iscritti devono essere i migliori lavoratori, i più preparati professionalmente e politicamente, perché devono essere il punto di riferimento e di aggregazione di tutti gli altri.
2) Che sia pacifista fino al neutralismo assoluto. Propugnatore di una politica estera di rispetto ed amicizia con tutti i popoli, che rifiuta ogni intervento militare fuori dei confini, che concepisce l’esercito come fattore di difesa nazionale contro le aggressioni esterne, che nega legittimità ad ogni base militare straniera sul suolo della repubblica.
3) Che sia europeista nel senso che partecipa alle istituzioni rappresentative europee con l’obbiettivo di conquistare per i lavoratori italiani salario, welfare e servizi pubblici al punto più alto raggiunto dagli altri Paesi.
4) Che ponga alla base del proprio programma politico i principi fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione e tali principi traduca in attività politica.
Facciamo due esempi: se “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro” allora bisogna eliminare il precariato, non solo di fatto, ma anche come accezione giuridica, perché il precariato non è lavoro, ma una condizione di schiavitù; se la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, “il pieno sviluppo della persona umana” e “ l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” sono impedite dagli ostacoli di ordine economico e sociale, allora per rimuoverli occorre un rovesciamento della politica in modo da mettere al centro del sistema il lavoro e non il mercato.
Ho scoperto la Costituzione? Si, questa Costituzione bisogna riscoprirla parola per parola, perché la sua riscoperta ci porta nel mezzo delle contraddizioni di questa società, svela le responsabilità delle classi dirigenti, apre una prospettiva di valori da realizzare in concreto attraverso la lotta democratica.
L’unità che occorre alle sinistre è l’unità di coloro che vivono del proprio lavoro raccolti intorno ad una linea politica chiara, comprensibile, coerente. Perché questa è unità vera, non contingente ed il partito unitario all’interno della sinistra sarà proprio quello che saprà portarla avanti.