La condizione dei lavoratori oggi in Italia è quasi come quella della carne in macelleria. La logica del profìtto a ogni costo ha determinato un meccanismo produttivo che prevede anche la morte del lavoratore. Un meccanismo che va interrotto. Con le buone, certamente, con l’azione politica, con la crescita della coscienza civile e popolare». Parole di Ulderico Pesce, uno dei protagonisti indiscussi del teatro civile italiano. L’attore e autore sarà sabato prossimo a Torino per partecipare alla kermesse cultural-musicale che accompagnerà l’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori organizzata da Rifondazione.
Quanto la questione del lavoro deve essere al centro di una proposta politica di sinistra?
Il lavoro è il tema dominante del futuro di una sinistra che voglia tener conto dei problemi seri della nostra società. Perché 1.400 morti in un anno è come dire che gli operai italiani sono in guerra: si alzano la mattina, salutano la moglie e i figli, e invece di andare al lavoro vanno al fronte. Poi c’è chi si ritira sano e salvo e chi fa la fine del martire.
Anche Veltroni, leader del Pd, dice che quella dei morti sul lavoro «è una tragedia che va interrotta». Però poi parla di equidistanza tra lavoro e impresa. Non ti sembra contraddittorio?
La situazione è molto chiara. Mentre ci sono partiti che continuano ad ispirarsi ai valori storici della Sinistra – l’antifascismo, la resistenza, la dignità del lavoro – ce ne sono altri, come il Pd, che in qualche modo vorrebbero rientrare nello spazio della Sinistra ma mirano a far fuori questi valori dal proprio assetto costitutivo. Purtroppo Veltroni sta tentando di prendere dalla propria parte Confindustria e i poteri forti. Ciò fa parte di un preciso progetto politico.
Cosa reciterai sabato?
Faccio un pezzo da “FIATo sul collo, i 21 giorni di lotta degli operai di Melfi” e un altro che si chiama ‘Il paneloro” di Stefano Mencherini, pezzo che poi metterò in scena in vari cantieri edili d’Italia, a partire dal 29 febbraio a Taranto. In “FIATo sul collo” parlo della Fiat che arriva in Basilicata grazie a 6mila miliardi a fondo perduto dati dallo Stato per aprire una fabbrica con metodologie di lavoro giapponese. Lo stabilimento apre nel ’93 e gli operai devono accettare di guadagnare il 10% in meno rispetto a tutti gli altri operai Fiat d’Italia, nonché la “doppia battuta” con dodici turni lavorativi notturni. Poi c’è stata la grande lotta del 2004, con gli operai che tornano a vincere contro la Fiat, dopo la sconfitta del 1980. Però i problemi non sono finiti. Pensate che i 5300 operai della Fiat di Melfi non hanno il medico nel turno di lavoro notturno. Insomma, se a un lavoratore succede qualcosa di notte manca anche il primo soccorso. Poche settimane fa è morto un operaio. La Cgil aveva promesso di avviare una vertenza ma non lo ha mai fatto. Sul mio sito internet (www.uldericopesce.com) ho lanciato una petizione, sostituendomi ai sindacati. E ancora: poco tempo fa la Fiat di Melfi ha licenziato quattro operai perché indagati per terrorismo. Licenziati in tronco prima che qualcuno accerti le loro reali responsabilità, quando nel parlamento italiano ci sono deputati condannati che fanno le leggi. Ecco, vado davanti alla Thyssenkrupp con la volontà di esprimere la mia rabbia per questo stato di cose.
Perché la grande questione del lavoro è diventata invisibile nella nostra società? Non ti pare che anche il cinema, il teatro, la letteratura, se ne occupino troppo poco?
Oramai anche il giornalismo – sia quello su carta stampata sia quello televisivo – bada al profitto, alle copie vendute, all’audience. E non mi riferisco ovviamente a quotidiani come Liberazione e Il manifesto. Stiamo andando verso un giornalismo che sembra si debba per forza occupare di fatti come Cogne o la strage di Erba. Giornali stracolmi di pagine che si sforzano di interpretare perché Olindo dormiva. Ma chi se ne frega! E’ sotto processo, ha confessato, basta: occupatevi di argomenti del tutto usciti dalle rotte delle informazione. Invece dei metalmeccanici non ne parla più nessuno e ci sono voluti sette operai morti alla Thyssenkrupp per rompere il silenzio sul dramma degli incidenti sul lavoro. I grandi giornali ormai fanno parte di grandi cordate economiche: se persino il giornale di Antonio Gramsci è finito nelle mani di imprenditori che hanno fior di quattrini, ma che cosa vogliamo sperare? A breve, se non cambia l’indirizzo politico dell’Italia, ci ritroveremo in una dittatura “con la vaselina”.