Un rapporto segreto della Casa Bianca scheda la libera informazione delle reti pubbliche
Tempi duri per Pbs e Npr Tra tagli ai fondi, cambi di palinsesto e scivolamenti a destra, le due emittenti americane, ultime oasi di quell’informazione indipendente tanto temuta dai neo-con, rischiano di essere assorbite nella famelica macchina di propaganda dell’amministrazione Bush
L per liberal, C per conservative: queste le categorie secondo cui erano divisi gli ospiti del newsmagazine Now, in uno studio del 2004 effettuato sul popolare programma settimanale che il giornalista (ed ex ufficio stampa di Lyndon Johnson) Bill Moyers conduceva per la Pbs, la tv pubblica americana. In più, nello studio, era prevista una ulteriore categoria denominata «anti-administration» – ovvero contro l’Amministrazione – in cui venivano inclusi individui diversi tra loro come Bill Clinton, il senatore repubblicano Chuck Hagel e tre giornalisti del Washington Post che non si occupano di Casa bianca. Commissionato nel 2004 dal presidente della Corporation of Public Broadcasting (l’agenzia incaricata di tutelare l’indipendenza della Pbs e della radio nazionale, Npr, e di veicolarne i fondi governativi) Kenneth Tomlinson, il rapporto è costato 14.170 dollari ai contribuenti Usa ed è stato affidato a Fred Mann, un signore dell’Indiana i cui titoli di merito includono anni di attività presso il National journalism center, un gruppo che promuove informazione di destra.
Scopo del rapporto, della cui esistenza (clandestina) si è venuto a sapere grazie ad un articolo apparso il mese scorso sul New York Times, era provare che la trasmissione di Moyers era ingiustamente sbilanciata a favore dei progressisti.
Nell’ottica della destra americana, niente incarna meglio lo stereotipo e lo spettro dei «liberal media» della Pbs o di Npr, la radio e televisione pubbliche che danno oggi gli unici telegiornali guardabili in Usa (alle 7 di ogni sera, Jim Lehrer elenca notizie e le approfondisce nell’arco di un’ora), news radiofoniche con cui ha senso svegliarsi alla mattina, importanti documentari di giornalismo investigativo come Frontline e programmi educativi che vanno dagli ampollosi «Masterpiece Theater», alla serie poliziesca inglese Prime Suspect, fino al mitico programma per bambini Sesame Street.
Orgogliosamente anacronistica nei formati, nei toni, nell’attenzione nei confronti del pubblico, nei set e persino nell’abbigliamento degli anchor, la Pbs è un’isola assolutamente a sé nell’affollatissimo, strillante palinsesto dei 24hours newschannel e del canali tematici.
Nixon cercò di strangolare finaziariamente la tv e la radio pubbliche a inizio anni settanta, prima di dare le dimissioni (ironicamente la Pbs ottenne megaratings trasmettendo nella loro interezza tutte le udienze del Watergate), Newt Gingrich cercò invano di fare altrettanto durante le decade successiva.
La tecnica con cui Bush e company intendono gestire «il problema» Pbs e Npr è un pò diversa, ma assolutamente in linea con le pratiche di un’amministrazione abituata a comunicare diffondendo alle redazioni televisive «infomercials» prodotti dai diversi uffici del governo, pagando noti giornalisti perché includano nei loro programmi ospiti e commenti favorevoli alla poltica di Bush e persino ammettendo nel ristretto pool dei giornalisti della Casa Bianca finti reporter (come Jeff Ganon) che facciano domande amichevoli.
Infatti, oltre a lavorare sul taglio dei fondi come i loro predecessori (ma tv e radio publiche sono molto seguite dagli spettatori: 100 milioni di dollari in tagli promossi recentemente dalla Camera saranno stati reintegrati nel bilancio 2006), Karl Rove e il suo team stanno cercando di assorbire progressivemante, e nemmeno troppo timidamente, Pbs e Npr dentro la loro macchina di propaganda.
Non a caso – e con un notevole conflitto d’interessi – Ken Tomlinson (nominato al consiglio d’amministrazione della Cpb da Clinton e promosso presidente da Bush Jr.) è anche il direttore generale del Broadcasting board of governors, l’agenzia federale che promuove tutta l’informazione non militare prodotta per l’estero dal governo Usa. Prima di arrivare all’attuale posto, Tomlison ha diretto il Readers’ Digest e, per conto di Ronald Reagan, Voice of America.
La Cpb, ha un potere relativamente limitato sui contenuti di Pbs e di Npr e, attraverso il governo, provvede il 10% del budget annuale della Pbs e solo l’1% di Npr.
Ma l’agenzia gioca un ruolo vitale nel finanziamento generale del sistema della tv pubblica e delle sue varie emittenti locali.
Sotto l’egida di Tomlison (che durante una conferenza avrebbe dichiarato che tv e radio pubbliche devono muoversi a destra come è successo per il paese dopo le elezioni) la tv pubblica si è improvvisamente «arricchita» di un programma interamente condotto dalla redazione della pagina editoriale del Wall Street Journal, nota roccaforte dei neoconservatori e di un programma (adesso non più in onda) del commentatore di destra Tucker Carlson.
Dalla sua ora originaria (quando era condotto da Moyers), «Now» è diventato un programma di mezz’ora molto meno affilato. E chi si fa raccontare il mondo ogni mattina presto da Npr (un rito di molti) si sarà accorto di come sia già scomparsa nei radiogiornali anche un po’ della contronfirmazione a cui ervamo abituati.
L’articolo del New York Times che dava nota dello studio di Tomlinson ha fatto sì che il senatore democratico Byron Dorgan chiedesse l’apertura di un’inchiesta.
Da essa è emerso che, oltre a «Now», il monitoraggio di Mann includeva anche il programma televisivo di Tavis Smiley e quello radiofonico di Dian Rehm.
In più, per monitorare dall’interno l’obbiettività politica del reporting , Tomlinson ha chiamato al suo fianco, alla Cpb, William Schultz, un fan di Joe McCarthy.
Direttamente dagli uffici della Casa Bianca è arrivata a lavorare per Tomlinson Mary anche Catherine Andrews.
E, per produrre informazione su Conrad Burns – un senatore repubblicano favorevole ad una legge pro Pbs cui Tomlison si opponeva – è stato assoldato (e pagato 10.000 dollari) l’operatore repubblicano Brian Darling, autore del celebre memorandum secondo cui la vicenda di Terry Schiavo avrebbe funzionato come «un fantastico strumento politico».
«Ho sempre saputo che Nixon sarebbe tornato. Solo non sapevo che lo avrebbe fatto nelle vesti del presidente della Cpb», ha detto Bill Moyers, il 15 giugno scorso alla Conference on Media Reform di St. Louis, ricordando le esatte parole dell’ex presidente americano deciso a «eliminare quei commentatori di sinistra che ci attaccano sulla tv pubblica immediatamente; anzi, ieri se possibile».
A rendere il panorama ancora più roseo per l’amministrazione Bush, qualche settimana fa la codirettrice del National republican committee Patricia Harrison è stata nominata alla direzione della Cpb.
Harrison è un’accanita supporter degli «infomercials» governativi che promuovono il successo americano in Iraq e Afghanistan. Li ha chiamati, appropriatamente e senza un filo di ironia, «i segmenti delle buone notizie».