Tutto il futuro della CGIL in un pugno di settimane

Ci sono cose la cui importanza è sovrastimata dalla stampa e dalla televisione. Vedi: le abitudini sessuali del Presidente del Consiglio oppure il congresso del Partito democratico in cui si confrontano candidati che rappresentano tutti una diversa faccia della fallimentare medaglia blairiana circolante nei disastrosi anni Novanta.
E poi ci sono cose che peseranno sul nostro futuro almeno per i prossimi decenni. E tra queste, particolare rilevanza rivestirà il prossimo anno l’esito del congresso della CGIL, il più grande sindacato italiano, secondo per importanza in Europa solo al sindacato tedesco.

La CGIL si presenterà al momento della verità con un passivo pesante. A partire dagli anni Ottanta, secondo le stime dell’OCSE, vi è stato uno spostamento massiccio di ricchezze dai salari verso profitti e le rendite: esattamente 185 miliardi di euro fra il 1985 e il 2008, oltre 8 punti percentuali di Pil. I salari italiani risultano oggi i più bassi di tutta l’Europa occidentale, i livelli di sicurezza nelle imprese sono anche essi fra i più bassi e hanno generato drammi come quello della Thyssen di Torino, lo scambio sociale del 1993, che attraverso la concertazione avrebbe dovuto garantire moderazione salariale alle imprese in cambio di investimenti privati e pubblici nei servizi, si è rivelato un completo fallimento.
La battaglia recente più significativa della CGIL, quella cioè in difesa dell’articolo 18 nel 2002, ha ottenuto da un lato un successo, perché ha consentito un sussulto di combattività e ha accreditato un gruppo dirigente, ma è stata accompagnata dall’accettazione di uno straripante sistema di precariato che oggi non è tutelato né dall’articolo 18 né da altro.

La CGIL resta la più grande organizzazione sociale in Italia e i margini di democrazia interna perché il prossimo sia un congresso vero, segnando un’inversione di rotta, ci sono tutti. A partire dal 2006 la presenza di una solida opposizione interna alle pratiche della concertazione e del “governo amico” si è mostrata in crescita. Il 4 novembre 2006 erano scesi in piazza oltre 150mila precari, sindacati di base, e solo anonimi iscritti alla CGIL contro le politiche del governo Prodi sul precariato. Poi, come protesta contro gli accordi del luglio 2007 che nulla mettevano in opera contro il precariato, il 20 ottobre sono scesi in piazza centinaia di migliaia di giovani e lavoratori, compresi iscritti a Rete 28 Aprile, Lavoro e Società, nonché alla FIOM, trasgredendo alle direttive del resto dell’organizzazione. Più recentemente l’inedita manifestazione unitaria della FIOM e della Funzione Pubblica, contro il nuovo modello contrattuale che ha eccitato CISL e UIL in un abbraccio incestuoso con il Governo e la Confindustria, ha significato per il resto del sindacato l’obbligo a non adeguarsi. In questa estate i lavoratori della Insse hanno dimostrato che con la battaglia si può anche vincere contro i licenziamenti, e che l’autunno potrebbe essere combattivo e vincente se solo i lavoratori non venissero lasciati soli.

A questo punto la CGIL è in mezzo ad un guado dal quale non potrà uscire se non profondamente mutata. Non avendo aderito al nuovo modello contrattuale del 16 aprile, che prevede tra l’altro l’indebolimento del contratto nazionale e l’abbassamento del salario minimo in favore di rapporti più diretti tra lavoratori e aziende, essa non può che riallinearsi alle posizione della CISL, che vede i rapporti tra lavoratori e imprenditori esenti da conflitto e improntati a cauta subordinazione, oppure tornare a rappresentare gli interressi di un’autonoma elaborazione del mondo del lavoro e delle possibilità di riscatto, di creatività e di lotta dei lavoratori.
Nell’introdurre la festa nazionale della Rete 28 Aprile, tenutasi a Parma fra il 28 e il 30 Agosto, Giorgio Cremaschi ha sintetizzato che nel prossimo congresso: “la CGIL deve tornare ad essere sé stessa, anche contro sé stessa”. Eguaglianza tra lavoratori e battaglia sociale sono nella storia di un’organizzazione che ha avuto radici anche nelle lotte bracciantili e nella quale il comunismo, non ultimo quello dei consigli, è stata la principale corrente politica. Nella festa di R28A è stato ospitato un dibattito al quale hanno partecipato figure importanti del nuovo fronte sindacale: Podda della Funzione Pubblica, Rinaldini della FIOM, Nicolosi di Lavoro e Società. E’ del tutto probabile che questi soggetti presenteranno un “documento alternativo” a quello del segretario in carica nel prossimo congresso, e dal grado di successo riscosso da questo documento si capirà anche in che direzione andrà a parare il sindacalismo italiano.

A parere di scrive la battaglia di questa nuova e solo parzialmente edificata “sinistra sindacale” non può restare dentro l’organizzazione, combattuta solo dagli iscritti e dalla burocrazia sindacale, ma ha tutte le carte per essere portata dentro la società nel suo complesso perché parla all’Italia.
Il documento della “sinistra sindacale” dovrà quindi parlare anche fuori dalla CGIL e contenere: il rifiuto da parte del sindacato all’imposizione di compatibilità e l’asserzione che i contratti devono tutelare in primo luogo il benessere dei lavoratori e offrire una prospettive di creatività e partecipazione; una critica esplicita del gorgo burocratico in cui si è avvitato il sindacato confederale nella troppa dimestichezza con i corridoi di Palazzo Chigi, anche presentando concrete soluzioni alternative per contrastare questa deriva burocratica; un’aperta sfida lanciata al mondo del precariato e dei più deboli come gli immigrati finora totalmente ignorato dai confederali; e di conseguenza la rinuncia al metodo concertativo che sempre più spesso fa del sindacalista, nelle aziende private e pubbliche, la principale spalla di manager e dirigenti. Solo se il sindacato ritornerà a dare protagonismo alle lotte e alla partecipazione dei lavoratori, solo se non sembrerà vittima dei giochi di congresso di partiti amici e delle maggioranze governative, tornerà a giocare un ruolo attivo. Nel caso contrario la trasformazione del sindacalismo italiano in ente di collocamento, in agenzia per regolare la contribuzione fiscale o per la formazione professionale, centro di potere per una burocrazia succube dei potenti, come già avvertito da molti non iscritti, sarà inevitabile e nemmeno tanto lenta.