Alla luce della dolorosissima esperienza del Kosovo e della Bosnia, nella quale soldati ed ufficiali delle nostre forze armate, inviati in zone teatro di bombardamenti Nato, hanno pagato sulla loro pelle i silenzi colpevoli dell’intreccio di interessi politico-militar-industriali che avevano sostenuto quell’operazione della Nato, proviamo ad esaminare quali rischi concreti corrono i nostri soldati inviati in Libano
1) L’esercito israeliano è dopo gli Stati Uniti la macchina militare che fa uso di proiettili all’uranio in maniera massiccia: li troviamo in dotazione agli elicotteri Apache, sui carri armati, e addirittura tra i proiettili navali.
Poiché l’impiego di elicotteri d’attacco, carri armati ed artiglierie navali è stato pienamente documentato, in questo mese di guerra, anche dai reportage giornalistici, non sarebbe lecito che il Governo riferisse alle Commissioni Difesa e allo stesso Parlamento quali passi si stiano facendo, presso il governo israeliano per ottenere le mappe relative alle eventuali zone bombardate con Uranio impoverito?
Non vorremmo che si ripetesse la vergogna del 2000 in cui, fino all’ultimo, nonostante le denunce particolareggiate dei nostri soldati malati o dei familiari di quelli deceduti, si continuò a negare da parte delle autorità militari e dai ministri di allora, che vi fosse alcun nesso tra uranio impoverito ed altre diavolerie sparate nei Balcani con le malattie denunciate. Ricordiamo le polemiche che seguirono in cui, dapprima si negò che proiettili all’uranio fossero stati sparati su quelle zone, poi l’imbarazzante ammissione ed infine il balletto dello scarica barile su chi doveva saperlo.
E’ sulle pagine del Manifesto (29/12/2000 e 12/01/01) e di Liberazione(9/01/01 e 24/10/01) che il sottoscritto denunciò come fosse impossibile che i nostri generali e lo Stato Maggiore della NATO che aveva coordinato le operazioni del 95/96 e del 99 sui territori della exYugoslavia, non avessero le mappe delle zone bombardate con l’Uranio Impoverito e come “casualmente” esse coincidessero con i territori di competenza delle nostre forze di peacekeping.
Solo qualche mese dopo si scoprì che quelle mappe erano da sempre a disposizione delle autorità degli stati aderenti all’Alleanza Atlantica ma che nessuno aveva voluto consultare..
2) Rischio nanoparticelle radioattive e/o da metalli pesanti.
E’ quanto riscontrato dagli ultimi studi effettuati sui pazienti affetti dalle varie sindromi del Golfo, Somalia, Kosovo, dei poligoni militari, ovvero come dai prodotti della combustione ad alta temperatura di metalli pesanti e leghe di ultima generazione presenti in ordigni altamente sofisticati si sviluppino nanoparticelle potenzialmente cancerogene.
Questo è il caso dei proiettili ad Uranio quando colpiscono superfici metalliche, ma soprattutto le cosiddette Block Buster di ultima generazione, ovvero le bombe ad alto potenziale con ogive protette da metalli pesanti atte a perforare bunker superprotetti.
Consiglierei i nostri esperti militari, che stanno predisponendo l’invio dei nostri militari in Libano, di andarsi a leggere le specifiche costruttive di quest’ultima generazione di Big BLU sia su Internet ma anche, senza scomodarsi troppo, sulle stesse pubblicazioni specializzate delle nostre Forze Armate, le stesse sulle quali nel 1999 si parlava con ampi particolari degli aerei A-10 (armati con proiettili ad UI) presenti nelle basi di Aviano e di Gioia del Colle, ma che al momento dello scoppio del caso risultò che i nostri generali non leggevano nemmeno.
Quelle bombe, le Big Blu, fornite dagli USA sono state massicciamente utilizzate dagli israeliani in quel fazzoletto di terreno dove erano i bunker degli hezbollah, Tiro e la stessa Beirut e dove prenderanno posto per molto tempo le truppe ONU. Lì la presenza di nanoparticelle è omogenea su tutta l’area che presidierà l’ONU a causa della diffusione delle polveri sia a causa del vento che delle stesse esplosioni.
3) Rischio ricostruzione.
E’ il rischio del caso di Sarajevo, dove i nostri genieri nell’ambito di un operazione di ricostruzione Cimic si ritrovarono a spianare senza alcuna protezione un’aerea bombardata dalla Nato ed entrati in contatto con le polveri radioattive, nanoparticelle ed altri contaminanti si ammalarono.
Non è il caso che prima di gettarsi a capofitto sull’affare ricostruzione Libano vengano esaminati tutti i rischi che correranno militari e civili che saranno impegnati in quelle opere?
Ricordiamo infine il rischio amianto e come la lavorazione “dell’Eternit”, chiusa in Italia, sia proseguita negli anni 90 proprio in Libano, dove con essa fu rifatta l’intera rete fognaria ed idrica dopo la guerra civile e che ora è stata gravemente colpita nel corso dei bombardamenti israeliani aggiungendo un altro fattore di rischio.
In questo intreccio di responsabilità da interessi delle multinazionali inquinanti e di in complesso militar-industriale sempre più potente riusciremo mai a sapere le vere cifre in costo di vite umane distrutte o malate per sempre, ma anche di territori un tempo paradisi dell’Eden e culla di civiltà meravigliose ed ora ridotti a deserto e macerie inquinanti?
Se questa la chiamano pace…
*Osservatorio sui Balcani di Brindisi