Tutti gli uomini del Viminale

La roccaforte della sicurezza è una macchina infernale capace di inghiottire uomini e risorse. Uomini soprattutto. Sono quasi settemila le persone impiegate a tempo pieno al Viminale (per la precisione 6.904) e fatta eccezione per il personale civile e tecnico, il resto è composto da agenti di pubblica sicurezza che potrebbero essere utilizzati in maniera diversa da quella attuale, magari andando ad aggiungersi agli oltre diecimila colleghi che ogni giorno si fanno in quattro per controllare le strade della capitale divisi tra lavoro di pattuglia, controllo dei due aeroporti e delle stazioni, polizia stradale eccetera.
Una marea di commissari, questori, vicequestori, sovrintendenti, ispettori e semplici agenti tutti più che addestrati per fare lavoro di strada, dove sarebbero preziosissimi, e che invece l’amministrazione preferisce impiegare in lavori d’ufficio. In un periodo in cui quello della sicurezza è diventato uno dei temi importanti dell’agenda politica del governo (basti pensare ai patti sulla legalità stipulati negli ultimi mesi con le varie città, da Roma a Milano, da Napoli a Bologna), non è certo poco.
Tanto più se si pensa che solo il 30 maggio scorso proprio il vice-ministro all’Interno Marco Minniti ha lanciato l’allarme, spiegando che nell’organico complessivo delle forze di polizia sarebbe necessaria qualche assunzione, magari un dieci per cento di uomini in più rispetto a quelli attuali. «Ma nei programmi del governo -ha anche aggiunto sconsolato Minniti – non c’è certo l’assunzione di 25-30 mila tra poliziotti, carabinieri e finanzieri».
Intendiamoci: non è certo responsabilità degli agenti chiusi oggi in un ufficio se si ritrovano una scrivania come campo d’azione. Si tratta, come si dice, di scelte che calano dall’alto. Ma in un momento in cui parlare di assunzioni è quasi un reato, e in cui non ci sono soldi neanche per fare il pieno di benzina alle volanti, i circa mille, millecinquecento agenti in più che si potrebbero tranquillamente strappare al Viminale rimettendoli in circolo non sono mica pochi.
«La questione vera è che il ministero dell’Interno ormai da molti
anni è una macchina burocratica in cui un problema delicato e importante come la sicurezza dei cittadini è affrontato soltanto con soluzioni di emergenza», spiega Claudio Saltari, segretario generale del Silp-Cgil Lazio. «Manca, di fatto, qualsiasi vera programmazione del lavoro, dalla gestione degli uomini ai piani di sicurezza».

La gestione delle risorse
Almeno per quanto riguarda la polizia di Stato, il problema dunque è di gestione di quelle che vengono comunemente chiamate risorse umane. Ma quante sono? Prendiamo Roma, ad esempio. La capitale può contare complessivamente su un piccolo esercito forte di circa 16.887 unità, tra uomini e donne. Di questi non tutti, però, sono operativi. A parte le 6.904 persone impiegate al Viminale (due terzi delle quali personale civile e tecnico), le restanti diecimila sono così suddivise: 9.350 dipendono direttamente dalla Questura e prestano servizio, oltre che a San Vitale, nei circa cinquanta commissariati della città.
Nell’organico della Questura vanno compresi anche gli 822 agenti impiegati nella polizia stradale, i 162 in servizio alla polizia postale, i 139 di stanza al reparto volo di Pratica di Mare, gli 828 addetti alla sicurezza dei due aeroporti capitolini (709 a Fiumicino e 119 a Ciampino). Da aggiungere, invece, 633 agenti in servizio presso la polizia ferroviaria. Cifre che comprendono non solo il personale operativo, ma anche quello impiegato in lavori di ufficio.

La sicurezza del ministero
Resta poi il ministero degli Interni. Il grande palazzo di via Agostino Depretis è una vera e propria cittadella governata di fatto dai prefetti (almeno fino alla nomina dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, a capo di gabinetto del ministro Amato) e della cui organizzazione molto probabilmente il ministro di turno, chiunque esso sia e a qualunque schieramento appartenga, non ha la minima idea.
Alla sua sicurezza sono addetti 840 agenti, ma al Viminale è affidata anche la sorveglianza di Camera e Senato (rispettivamente 180 e 130 uomini), palazzo Chigi (100), di due ministeri, Lavoro (60) e Comunicazioni (46) e del Vaticano. A questi si aggiunge poi l’Ufficio centrale ispettivo e l’Ufficio scorte, forti di 60 agenti ciascuno, e l’autoparco, che può contare in tutto su 290 agenti, 270 autisti e 20 tecnici.

Le Direzioni centrali
Ma il vero cuore sono le Direzioni centrali, dalle quali dipende il funzionamento dell’intera macchina. In tutto sono undici ed è qui che siedono molti degli agenti che potrebbero essere utilizzati diversamente. Partendo proprio dalla Direzione centrale risorse umane. Delle 877 persone che vi lavorano, 364 in teoria hanno tutte le caratteristiche per poter prestare servizio in strada. Sono, cioè, ispettori, commissari, agenti, commissari, agenti scelti. Non mancano neanche viceprefetti e vicequestori. Personale competente, anche se forse un po’ arrugginito da armi di scrivania, comunque addestrato a fare servizio di ordine pubblico.
Stessa cosa per 49 delle 105 persone impiegate nella Direzione Istituti di istruzione, o per 124 delle 239 dislocate agli Affari generali o, ancora 73 delle 450 in servizio presso la Direzione Servizi tecnici logistici o 27 delle 55 al lavoro nell’Ufficio centrale ispettivo. Complessivamente, tra le 1.726 persone oggi impiegate nelle cinque Direzioni, ci sarebbero 637 agenti che potrebbero essere destinati al servizio operativo. A questi vanno aggiunti gli agenti impiegati in moli d’ufficio nelle Direzioni più operative, come l’Anticrimine, l’Antimafia, l’Immigrazione, la Polizia criminale oppure la Direzione generale Specialità, che insieme imdpiegano altre 1.340 persone almeno un terzo delle quali, secondo il Silp, in grado di operare in strada.
Un aiuto prezioso per coloro che si trovano già in strada. «Altro che. Da molto tempo ormai le pattuglie sono costrette a girare con soli due agenti a bordo per mancanza di personale e riavere questi colleghi in servizio permetterebbe di aumentare il numero delle volanti. Oppure potrebbero essere impiegati nei turni del 113, dove gli operatori sono dimezzati rispetto a due anni fa, passando da sei ad appena tre per turno. Se davvero dal Viminale arrivassero dei rinforzi sarebbero una vera benedizione», spiega Cosimo Bianchini, segretario generale aggiunto del Silp-Cgil Lazio.

Nessuna assunzione
Uomini e mezzi che potrebbero esserci e che non ci sono. Né ci saranno mai, se le cose continuano così. Di concorsi per nuove assunzioni, come ricordava lo stesso viceministro Minniti, del resto non se parla. «L’ultimo è stato fatto nel 1996, e la graduatoria è ancora quella aggiornata al dicembre del 2003, poi è stata chiusa -spiega ancora Saltari del Silp-Cgil – Da allora l’unico canale di ingresso in polizia è quello militare». Si ricorre, cioè, ai giovani che, terminato il periodo di ferma breve nelle Forze armate, hanno diritto ad avere un posto di lavoro nelle cinque forze di polizia oltre che nei Vigili del fuoco e nella Croce Rossa.

Addestramento militare
Un «esercito di riserva» che fornisce mille nuovi ingressi l’anno tra le file della polizia. Non senza problemi, però: «Questi ragazzi -spiega ancora Saltati – arrivano da noi dopo aver ricevuto un addestramento militare. Sanno combattere, ma non hanno la minima idea di come fare servizio di ordine pubblico. Vanno quindi tutti riaddestrati, perché non possiamo mandare per strada personale che sa sparare ma non sa trattare con le persone».
C’è, poi, un ulteriore elemento negativo. Con il blocco dei concorsi e l’esercito come unico serbatoio di nuove reclute, sta diminuendo il numero delle donne presenti in polizia, contribuendo anche così a mandare in soffitta quella che era una delle novità della 121, la legge di riforma della polizia. «Ma tutta la situazione è difficile», si sfoga Bianchini. «Ogni anno escono dalla polizia circa 1.500 colleghi, tra pensionamenti, cause di servizio, destituzioni e quant’altro, senza riuscire a sostituirli.
Questo ha prodotto una diminuzione dell’organico, passato dai 101 mila agenti in servizio nel 2000 in tutta Italia agli attuali 96 mila, e contribuendo così all’innalzamento dell’età media degli agenti in servizio. E sa cosa significa per un collega di cinquant’anni fare i turni su una volante a Napoli?».
Niente di buono, ci vuole poco a immaginarlo. Così come niente, o poco di buono pare sia venuto anche dall’idea di costituire le Direzioni interregionali, volute sette anni fa da Giuliano Amato, all’epoca presidente del consiglio e oggi ministro degli Interni. L’idea era buona: decentrare l’attività investigativa suddividendola per regioni. Vennero comunque create sette direzioni interregionali che non sono mai entrate in funzione: Lazio-Abruzzo-Sardegna con sede a Roma; Triveneto (sede a Padova); Emilia Romagna-Lombardia (a Milano); Piemonte-Liguria (a Torino): Toscana-Umbria-Marche (a Firenze); Campania-Molise-Puglia-Basilicata (a Napoli); Sicilia-Calabria (a Catania).
«Per sette anni le direzioni interregionali hanno rappresentato una dispersione di uomini e risorse – denuncia Saltari – Solo per l’acquisto e la ristrutturazione della sede di Roma, in Salita del Forte Ostiense, sono stati spesi due milioni e mezzo di euro. Senza contare gli agenti impiegati inutilmente. Uno spreco che finirà il prossimo mese di dicembre, visto che l’ultima Finanziaria ha deciso di abolirle per ragioni economiche».

Non c’è mobilità interna
Se questa è la situazione, è chiaro che recuperare al servizio le centinaia di uomini attualmente impiegati al Viminale diventa quasi essenziale. Si potrebbe fare tranquillamente sostituendoli con del personale civile preso, visto che i concorsi cono chiusi, dagli altri ministeri. Anche in questo caso, però, la burocrazia ci mette lo zampino.
«Fino a circa un anno fa il Viminale è stato l’unico ministero a non praticare mobilità interna per motivi di sicurezza – spiega sempre Saltari – Ora la mobilità è permessa, ma non viene attuata. Quindi anche se, per esempio, al ministero del Lavoro dovessero esserci una ventina di impiegati in esubero, non possono essere trasferiti al Viminale. Noi non diciamo di prendere chiunque, ma ramministrazione potrebbe selezionare le persone che ritiene più sicure e sostituirle agli agenti. Invece no. Tutto resta fermo, e a pagare sono tutti, sia gli agenti che i cittadini».