Turigliatto: «Vogliono le larghe intese»

«Diciamo la verità. Se non ci fossimo stati noi a sollevare questo polverone sull’Afghanistan, tutto il parlamento avrebbe votato sì alla missione». Franco Turigliatto ha dovuto forzare la sua indole schiva, «sabauda», per intervenire all’assemblea di ieri «in qualità di ponte fra le varie anime del movimento pacifista». E lo ha fatto giocando all’attacco e respingendo le accuse rivolte da più parti ai «dissidenti» come lui: «Non siamo anacronistici né fuori dalla politica, semmai è il governo che non tiene conto di una volontà popolare diffusa». 60 anni, trotskista come l’altro dissidente Salvatore Cannavò, non si considera un rappresentante del movimento pacifista anche se la sua prima manifestazione risale ai tempi del Vietnam. «Mi sono sempre occupato di lavoro. Ho ricevuto da mio padre un’educazione pacifista. Ci ho ripensato e mi sono detto che non potevo votare la missione. Mi son chiesto, come posso mandare gli alpini laggiù ad ammazzare e farsi ammazzare».

Una questione etica difficilmente componibile con la realpolitik dell’Unione.

Non è una questione etica ma politica. Chiediamo che la nostra posizione venga riconosciuta. E la mia convinzione è rafforzata dai giri che ho fatto nelle fabbriche e dai messaggi ricevuti, che mi invitano a tenere duro ma anche a non far cadere il governo.

Un bel dilemma. Fra qualche giorno il suo voto potrebbe risultare decisivo. Cosa farà?

Ne sono consapevole, per questo non so ancora cosa farò. Vedremo se sarà posta la fiducia, ma se il decreto sarà votato in forma bipartisan passerà largamente. Nessuno di noi vuole la crisi del governo. Chiediamo solo che la nostra posizione politica sia rappresentata e perciò ripresenteremo gli emendamenti perché continui la discussione.
Anche il movimento no war è diviso. Una settimana fa l’assemblea autoconvocata, oggi Genova.
La mia presenza qui rappresenta un elemento di volontà unitaria. La mia proposta è che a settembre ci rivediamo tutti per discutere come arrivare al ritiro dall’Afghanistan. Penso che l’aver aperto una dialettica parlamentare su questo abbia aiutato tutto il movimento.
Alla camera la maggioranza è stata bulgara ma il suo partito si è lacerato.
Al 99% hanno votato sì mentre la maggioranza del paese chiede il ritiro. Mi pare sia anacronistico chi non tiene conto di questo in nome di un interesse politico. Abbiamo voluto testimoniare e dare rappresentanza politica a queste posizioni, senza pretendere di rappresentare il movimento.

Il risultato è che il decreto potrebbe passare con l’appoggio decisivo del centrodestra.

Credo che il governo possa rafforzarsi se risponde positivamente agli obiettivi indicati prima delle elezioni, che sono pace e no alla precarietà. Invece ho l’impressione che da tempo ci sia nella maggioranza chi lavora a intese più ampie, e che noi siamo usati come capro espiatorio per raggiungere questo obiettivo. Se è così se ne discuta apertamente.