«Troppi misteri sul rapimento di Mordechai Vanunu in Italia»

A Gerusalemme ieri sera è stato presentato il volume The Whistlerblower
of Dimona – Israele, Vanunu e la Bomba, di Yoel Choen, intellettuale
britannico ora residente a Gerusalemme, che per anni ha seguito la
vicenda di Mordechai Vanunu, l’ex tecnico nucleare israeliano che,
durante il periodo in cui aveva al centro nucleare di Dimona nel Negev,
(nove anni), si era convinto della pericolosità del potenziale nucleare
del suo paese ed aveva deciso che fosse suo dovere rivelarne al mondo
l’esistenza, perché, come ha confermato a distanza di quasi 20 anni
alla Bbc la settimana scorsa, «volevo salvare Israele da un nuovo
olocausto». Vanunu (in sala durante la presentazione del libro), com’è
noto ha scontato 18 anni di carcere con l’accusa di spionaggio e
tradimento ed è stato rilasciato lo scorso 21 aprile.

Da allora vive nella chiesa anglicana di St. George a Gerusalemme Est e
deve osservare molti divieti, tra i quali il non poter parlare con
stranieri. Il libro di Choen ricostruisce la vicenda di Mordechai
Vanunu, a partire dal suo background familiare (Vanunu proviene da una
famiglia estremamente religiosa), per poi affrontare, più in generale
la questione del nucleare in Israele ed anche le responsabilità del
Sunday Times verso Vanunu. Choen entra in dettaglio sulla questione del
rapimento di Vanunu a Roma, con riferimenti alle vicende italiane
dell’epoca, dall’Achille Lauro alle attività del Mossad in Italia.

L’autore riporta nel libro estratti da documentazione relativa al
processo e testimonianze di alti esponenti delle autorità israeliane
coinvolti all’epoca nella vicenda. Secondo il fratello di Mordechai
Vanunu, Meir, l’unico della famiglia insieme all’altro fratello Asher
ad essere rimasto accanto a Mordechai in tutti questi anni ed animatore
delle campagne in favore del fratello negli ultimi 18 anni, il libro
offre una ricostruzione rigorosa della vicenda.

Nel pomeriggio di ieri, qualche ora prima della presentazione del libro
di Choen all’American Colony Hotel di Gerusalemme, Meir Vanunu ha
affrontato con Liberazione un argomento che ritiene non risolto: il
rapimento del fratello a Roma, la gestione della vicenda da parte dei
governi italiani ed il ruolo del giudice Sica.

Mr. Vanunu, cosa è avvenuto quando lei si è recato a Roma nel 1987?

Sei mesi dopo il rapimento di Mordechai andai a Roma con l’altro mio
fratello Asher. Presi un treno da Amsterdam e senza appuntamento mi
presentai dal giudice Sica per chiedergli cosa stesse facendo con
l’indagine sul rapimento di mio fratello. Quando mi trovai faccia a
faccia con lui mi disse che io non ero li per fare domande, ma per
rispondere alle sue. Io allora gli dissi che se avessi parlato con lui
della vicenda del rapimento di mio fratello mi avrebbero arrestato in
Israele. La risposta fu che mi avrebbe fatto arrestare lui, se non
rivelavo ciò di cui ero a conoscenza. E lo voleva sapere per informare
i servizi.

Quello che lei afferma è molto pesante, ma allo stesso tempo, se queste
erano le circostanze, allora vuol dire che i servizi segreti italiani
non erano a conoscenza della vicenda?

No, secondo me c’è stata collaborazione tra i servizi israeliani e
quelli italiani. Ed il modo in cui è stato chiuso il caso in Italia lo
dimostra. Non è stata svolta un’indagine seria. Dissi a Sica che la
cosa da fare era richiedere un incontro con mio fratello perché
Mordechai era l’unico in grado di fare chiarezza sulla vicenda del
rapimento. Sica avrebbe dovuto recarsi in Israele, ma non lo fece.
Nell’agosto 1987 andai di nuovo in Italia con Peter (Hounam, il
reporter che pubblico’ per primo le rivelazioni di Vanunu n. d. r.) e
diedi a Sica informazioni sul rapimento, di cui ero venuto a conoscenza
a seguito di un incontro con mio fratello in carcere. Quelle stesse
rivelazioni furono rese pubbliche poco dopo a Londra. La conseguenza fu
che le autorità israeliane sentenziarono, in base all’accusa di
spionaggio, che il mio ritorno in Israele entro i successivi 15 anni
avrebbe comportato il mio arresto. Tornai in Israele 9 anni dopo, nel
settembre ’96 a condizione di rispondere alle domande dei servizi
segreti israeliani. Mi ritirarono il passaporto, ma alla fine non fu
intrapresa alcuna azione nei miei confronti.

I servizi segreti israeliani erano sulle tracce di suo fratello prima
che arrivasse in Italia. Secondo lei perché il rapimento è avvenuto a
Roma e non a Londra, dove suo fratello si era recato prima di andare a
Roma? Il Governo Thatcher era un governo amico di Israele.

Forse la Gran Bretagna rispetta la propria sovranità più dell’Italia. O
almeno lo ha fatto in quella circostanza. Forse la scelta di Roma è
stata determinata dal fatto che l’Italia era un terreno più facile. Ed
il modo in cui sono andate le cose lo dimostra. Inoltre esiste una
condizione più ampia legata alla collaborazione tra servizi di diversi
paesi. Il fatto che l’Italia fosse più docile dipende anche dal ruolo
della Cia nel paese e poi non dimentichiamo che l’allora governo Perez
era vicino al governo Italiano. Comunque, è ora di riaprire il caso. Un
turista è stato rapito in terra italiana, drogato e trasportato
sull’altra sponda del Mediterraneo da agenti segreti di un altro paese,
in barba al diritto internazionale ed alle leggi italiane. Violando la
sovranità dello Stato italiano. Per l’Italia va bene cosi?

Ha fiducia in una riapertura del caso?

Non mi faccio illusioni, né sono ottimista. In linea di principio chi
ha a cuore il rispetto della legge dovrebbe appellarsi alla Corte
Suprema e far riaprire il caso. Non dovrebbe essere una cosa
complicata. Sono pronto a tornare in Italia.