“Avante”, settimanale del Partito Comunista Portoghese
Traduzione di Mauro Gemma
“La caduta di Tripoli è una sconfitta per tutti i progressisti e gli amanti della pace, ma non è la loro resa o la diserzione dalla lotta contro la barbarie”
Dopo sei mesi di insurrezione, cinque dei quali appoggiati dai continui bombardamenti della NATO, i controrivoluzionari hanno assunto il controllo della capitale della Libia. Nell’assalto a Tripoli, l’Alleanza Atlantica e i mercenari e i fondamentalisti islamici che fanno capo al Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) hanno ucciso tante persone quante sono le vittime stimate dal governo libico durante tutto il conflitto.
La battaglia per il controllo di Tripoli è iniziata sabato notte quando colonne del CNT, in maggioranza venute dalla regione dell’Est, hanno cominciato ad attaccare i dintorni della metropoli. Nei giorni precedenti, i ribelli avevano già conquistato città tra la frontiera settentrionale con la Tunisia e la capitale, fatto che, aggiunto alle posizioni mantenute dai ribelli ad Est frutto del costante appoggio aereo e navale della NATO, lasciava al governo libico il controllo della fascia del litorale tra la principale città del paese e il porto petrolifero di Ras Lanuf, e, così, con Misurata nelle mani dei filo-colonialisti interrompeva il collegamento costiero con le martirizzate Zliten e Sirte.
Non manca di sorprendere il fatto che il governo libico abbia resistito tanto tempo. Spesso ha spinto le orde controrivoluzionarie sull’orlo della sconfitta. All’ultimo momento, sono stati sempre gli imperialisti a evitare l’annientamento delle bande del CNT. Nella conquista di Tripoli non è avvenuto diversamente.
La macchina della morte
Tra il 10 e il 22 agosto, gli USA – il cui presidente, Barack Obama, ha sempre sostenuto che il paese non si trovava in guerra, ma in missione umanitaria, evitando, così, di chiedere l’autorizzazione al Congresso per realizzare l’attuale campagna bellica – hanno rovesciato sulla Libia e sul suo popolo tonnellate di bombe per un minimo di 55 attacchi aerei (tra i quattro e i cinque al giorno).
In totale, in cinque mesi di campagna, solo l’aviazione nordamericana ha realizzato 1.210 bombardamenti con aerei senza pilota, e 110 con aeronavi comandate a distanza. Da marzo, l’insieme delle forze della NATO ha realizzato più di 20.000 voli in spregio della stessa risoluzione che avevano fatto approvare nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui almeno 7.500 consumate con bombardamenti che, solo per un grossolano insulto all’intelligenza, possono essere definiti missioni per la protezione dei civili.
Dal giorno 22 fino alla fine di marzo, la NATO ha sferrato 80 offensive giornaliere. Il 28 marzo si è registrato l’impressionante numero di 600 bombe definite di precisione e 199 missili “Tomahawk” lanciati sulla Libia.
Se in cinque mesi di operazioni criminali la NATO è stata responsabile della morte tra i 1.200 e i 2.000 civili libici, secondo calcoli prudenti del governo libico (che escludono, evidentemente, le centinaia di rifugiati che hanno dovuto soccombere alla fame e alla sete nelle traversate tra la Libia e l’isola italiana di Lampedusa, alcune delle quali vittime dell’indifferenza delle navi da guerra francesi che pattugliavano il Mediterraneo), tra lo scorso sabato e la mattina di lunedì, almeno 2.100 tripolitani sono stati schiacciati dalla barbarie dell’asse atlantico.
L’assalto finale
Il bagno di sangue in cui Tripoli è stata affogata è cominciato la notte del 20 agosto, quando cellule di jihadisti che avevano fatto irruzione nella città, sono state incitate all’azione dagli imam delle moschee. Gli appelli che venivano dai minareti – che alle nostre latitudini hanno fatto tremare nei loro stivali militari e ufficiali imperialisti – si sono aggiunti allo sbarco di gruppi armati multinazionali comandati da membri dei servizi segreti imperialisti. Marciava così a pieno ritmo l’ “Operazione Sirena”, che ha fatto morire nelle prime ore più di 370 persone, tra civili e militari libici.
Sul finire della sera di domenica, Moussa Ibrahim, portavoce del governo libico, dichiarava che in quel giorno le autorità avevano contabilizzato altre 1.667 vittime dei bombardamenti della NATO e degli attacchi ribelli. In seguito non è stato più divulgato un nuovo conteggio ufficiale.
Molto rari sono stati gli organi di comunicazione sociale e le agenzie, nazionali e internazionali, che hanno parlato del massacro. Tutto quello che interessava era amplificare la campagna mediatica che accompagnava l’avanzata ribelle.
La prima vittima della guerra
La copertura informativa del brutale assalto a Tripoli non è sfuggita alla regola rispettata durante tutta l’aggressione imperialista alla Libia. Ha confermato che “nella guerra la prima vittima è la verità”, come disse il politico nordamericano Hiram Johnson a proposito della Prima Guerra Mondiale, la primogenita di tutte le guerre imperialiste, come bene la definirono, all’epoca, i comunisti con Lenin in prima fila.
All’inizio di febbraio, un servizio informativo in prima serata in una televisione portoghese riferiva di “una sollevazione popolare” libica con immagini di una manifestazione, si, di massa, è vero, con donne e giovani, è innegabile, ma tutte con bandiere verdi (!).
In più di 48 ore di bombardamento mediatico attorno ai combattimenti di Tripoli, oltre all’occultamento della mattanza che stava avvenendo nella capitale del territorio nordafricano, veniva comunicato che due figli di Gheddafi erano stati catturati dal CNT.
Saif al-islam, dicevano, si trovava addirittura sul punto di essere estradato all’Aia per essere preso in consegna dal Tribunale Penale Internazionale, che gli avrebbe riservato lo stesso destino dei presunti criminali di guerra dell’ex Jugoslavia.
Nello stupore generale, Saif riappare alcune ore dopo nell’albergo dove alloggiano i giornalisti, garantendo che il padre sta a Tripoli e che la città sarà ripresa dall’esercito regolare. Ciò non si è potuto verificare, ma la riapparizione di Saif ha imbarazzato l’imperialismo.
E adesso che il TPI ripete mille volte di non avere confermato l’arresto del presunto successore di Gheddafi, potrebbe anche decidersi a frenare l’incontinenza verbale del procuratore Luis Moreno-Ocampo che, domenica, garantiva che Saif sarebbe stato trasferito in Olanda il giorno seguente.
Si ricordi che Moreno-Ocampo si è distinto in questa guerra per aver accusato Muammar Gheddafi di aver comprato dosi massicce di stimolanti sessuali perché i soldati a lui fedeli si scatenassero contro la popolazione oppositrice con violenze di massa. Nel capitalismo le assurdità dei suoi accoliti più di ferro non conosce limiti.
Anche Mohammed Gheddafi, fratello di Saif era stato catturato dagli insorti dopo essere stato intervistato da “ Al-Jazeera”, hanno detto. Alla fine, è stato liberato da militari libici proprio nel momento in cui veniva accomunato a Saif nel ruolo di trofeo di guerra collezionato durante la marcia trionfale nei quartieri di Tripoli.
Nella notte di domenica e nella mattinata di lunedì, “Al-Jazeera” ha trasmesso ripetutamente le immagini delle manifestazioni di “festeggiamenti popolari” a Bengasi e di controrivoluzionari nella Piazza Verde. Ci sia concesso di dire che il montaggio della manifestazione di iracheni attorno alla statua di Saddam che stava per essere rovesciata da un carro armato USA era ben più riuscito.
Va notato che in Iraq come in Libia e in Siria, la trasformazione di decine o centinaia di persone in moltitudini travolgenti attraverso primi piani o immagini di telefoni cellulari distorte e di scarsa qualità rispondono allo stesso obiettivo di ritoccare la realtà ad uso e consumo degli interessi imperiali e a minare la fiducia degli aggrediti nell’iniziativa per la propria difesa e quella del rispettivo paese.
La giornalista indipendente Lizzie Phelan ha confermato l’inganno televisivo che riguarda la simbolica Piazza Verde in Libia, fatto che le è valsa una condanna a morte decretata da presunti giornalisti mischiati con professionisti onesti nell’hotel Rixos.
Nell’albergo di Tripoli, si trovano anche Thierry Meyssan e Mahdi Darius Nazemroaya, reporters coraggiosamente indipendenti, e per questo anch’essi minacciati da agenti della CIA e del britannico M16 che si sono fatti passare per giornalisti delle grandi catene televisive occidentali.
Si sprofonda nel caos
E’ obiettivo dire che la caduta del regime libico spinge tutto un popolo nell’incertezza, poiché, sulla base dei risultati delle recenti guerre imperialiste, i libici rischiano di sprofondare nel caos in cui versano iracheni e afghani.
Ciò ha avuto una conferma quando, un giorno prima dell’entrata dei mercenari del CNT a Bab Al-Azizya – complesso fortificato che era l’ultimo ridotto dei patrioti libici e dove si supponeva che Gheddafi fosse rifugiato -, è stato lo stesso capo del consiglio controrivoluzionario a minacciare di dimettersi nel caso i gruppi ribelli insistessero nei saccheggi, nelle distruzioni gratuite e nel baccanale del regolamento di conti a Tripoli.
Mustafa Abdul Jalil dovrà, tuttavia, affrontare prove molto più dure. Si presenta come comandante di un Consiglio i cui subordinati non obbediscono. Vanno evidenziate le lotte intestine che sono culminate nelle ultime settimane con la morte del principale e più rispettato capo militare degli insorti, o la intensa partecipazione dei gruppi fondamentalisti islamici che controllano l’Est della Libia all’assalto a Tripoli. Molti di costoro non è da oggi che avvisano che non si sottometteranno al potere del CNT.
Inoltre, per quanto le grandi potenze capitaliste abbiano fretta di “stabilizzare” il territorio per, come ha ammesso il congressista Ed Markey, “prendere il petrolio” il più presto possibile, il fatto è che la rivoluzione Verde e Gheddafi godono di enorme prestigio in Libia. Sono gli stessi capi imperialisti ad ammetterlo, aggiungendo che la guerra continuerà. L’obiettivo è farla finita con la resistenza patriottica.
Barack Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron sono riusciti ad affogare Tripoli in un bagno di sangue, come aveva avvertito Silas Cerqueira nella conversazione con “Avante”, pubblicata il 7 luglio (1).
Nell’occasione, il militante comunista e membro dei corpi direttivi delle strutture unitarie di difesa della pace ha ricordato anche che, nel suo ultimo viaggio a Tripoli, i libici avevano fatto appello alla solidarietà internazionale con il loro popolo. Gli avevano chiesto di trasmettere ai portoghesi che stavano resistendo per tutti noi all’imperialismo, facendo appello a una nostra iniziativa per la fine dei bombardamenti.
La caduta di Tripoli è una sconfitta per tutti i progressisti e gli amanti della pace, ma non è la loro resa o la diserzione dalla lotta contro la barbarie.
*Dalle agenzie, Reseau Voltaire, Global Research, Telesur e The Economist
Nota del traduttore
(1) “L’imperialismo vuole soggiogare un paese ricco e sovrano”, http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=21210