Tregua, strappo d’Israele

Troppo bello per continuare ad essere vero. Dopo quattro giorni ha già subito il primo strappo la «fragile tregua» (così l’aveva definita Kofi Annnan) durante la quale si era avviato il ritiro israeliano dal sud del Libano mentre l’esercito del paese dei cedri piantava la sua bandiera accanto a quella di Hezbollah, a pochi metri dal confine, in territori dove non aveva messo piede per oltre vent’anni. Venerdì sera, unità speciali dell’esercito israeliano hanno effettuato un’incursione nella zona ovest della valle della Beqaa scontrandosi per oltre due ore con l’immediata resistenza da parte delle milizie del Partito di Dio. Un soldato israeliano è stato ucciso e altri due feriti mentre Hezbollah smentisce le notizie di agenzia che tre suoi guerriglieri sarebbero morti.
Autoproclamandosi garante della «cessazione delle ostilità» imposta dalle Nazioni unite, Israele ha giustificato la propria azione come un attacco preventivo per fermare il traffico a Hezbollah di materiale da combattimento proveniente da Siria e Iran, nonostante i due paesi continuino a smentire che questo abbia mai avuto luogo. Tel Aviv ha infatti negato di aver compiuto una violazione del cessate il fuoco. Ha anche annunciato ripercussioni analoghe fino a che la forza multinazionale dell’Onu non sarà dispiegata sul confine. «Avevamo informazioni specifiche su un traffico di armi e abbiamo agito per prevenire la violazione del cessate il fuoco, quindi la violazione non è stata compiuta da parte di Israle, Israele è autorizzato a intervenire per difendere l’embargo delle armi», ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri israelita Mark Regev. Testimoni oculari hanno invece raccontanto all’emittente britannica Bbc che credevano che il vero obiettivo dell’esercito fosse quello di recuperare i due soldati israeliani rapiti il 12 luglio o catturare un importante capo militare di Hezbollah da scambiare con gli ostaggi. In ogni caso pare che i soldati si siano scontrati con una dura resistenza della guerriglia sciita, prima di essere prelevati da elicotteri militari israeliani.
L’offensiva israeliana ha scatenato la dura reazione delle autorità governative libanesi, spingendole a protestare con gli inviati speciali delle Nazioni unite che si trovavano a Beirut. Il primo ministro Fouad Siniora ha giudicato l’azione «una palese violazione» della risoluzione del Consiglio di sicurezza mentre il ministro della difesa Elias ha minacciato di fermare il dispiegamento dell’esercito libanese al confine con Israele se le Nazioni unite non prendessero posizione sull’episodio accaduto.
Dopo un primo pronunciamento dell’Unifil, che ha dichiarato di non sapere nulla dell’incidente, l’inviato speciale dell’Onu in Libano Terje Roed-Larsen, ha aggiunto che «se fosse effettivamente avvenuto, certamente costituirebbe una violazione della tregua da parte di Israele». Annan invece ha assicurato Siniora per telefono che incidenti del genere non si sarebbero ripetuti. Mentre Ehud Olmert avrebbe chiesto all’Onu più controlli al confine con la Siria, ottenendo il sostegno degli Stati uniti. Intanto il parlamentare Nabih Berri, uno dei principali alleati di Hezbollah al governo, ha definito l’episodio una provocazione per boicottare l’avanzata dell’esercito libanese, ma si è detto certo che «la resistenza è abbastanza consapevole del complotto» da non cadere nella trappola.
Tel Aviv dunque non sembra avere alcuna intenzione di fare i «compromessi dolorosi» che Kofi Annan ha chiesto alle parti, esortandole a tenere in considerazione anche la questione dello scambio di prigionieri che ha dato avvio al conflitto (secondo le voci sarebbe in corso una mediazione italiana). Domani, un altro incontro è previsto al Palazzo di vetro per continuare la discussione sulle modalità di dispiegamento delle truppe. Intanto i primi 50 ingegneri militari francesi sono giunti nella base Unifil di Naqoura, nel sud del Libano, mentre il presidente Jacques Chirac si è sentito con i premier italiano, turco, finlandese e tedesco per sottolineare l’importanza di regole chiare per l’applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza. Sempre che Israele non decida di ignorarla. Non sarebbe la prima volta.