Tra Roma e Camp Darby

Dice Romano Prodi: «Ora è chiaro a tutti che l’Italia è importante e che sono stati premiati i suoi sforzi di pace». Nonc’è dubbio, la conferenza che si annuncia per mercoledì a Roma è un evento rilevante dal quale probabilmente dipendono le sorti dell’area mediorientale. Forse però chiamarla «di pace» è un po’ troppo. Non parliamo solo dell’ambiguità che vede Condoleezza Rice, il segretario di Stato degli Stati uniti che hanno deciso la guerra preventiva per destrutturare l’intero Medio Oriente, convocare la «conferenza di Roma» dichiarando subito che «non se ne parlanemmenodel cessate il fuoco ». Lo ha chiesto il segretario dell’Onu Kofi Annan,maè stato zittito nelle stesse ore in cui le sedi dell’Unifil in Libano venivano bombardate. La guerra deve continuare. Strana conferenza di pace quella che si propone di mediare a prescindere dal fatto che tacciano le armi, tutte, quelle degli Hezbollah,maanche quelle ben più potenti di Israele che continua a bombardare dall’alto dei cieli le città del Libano. E poi mercoledì sembra lontano anni luce dall’urgenza di fermare subito la grande invasione di terra con le truppe e i carri armati, in attesa che la piccola invasione di forze scelte israeliane abbia ragione delle milizie hezbollah. Quando tra tre giorni la conferenza si aprirà i giochi, quelli peggiori, quelli militari, avranno una nuova contabilità di sangue e vittime civili. E la probabile conquista territoriale sul campo di una regione del Libano del sud sarà la «fascia di sicurezza» bella e pronta, con in più l’avallo della conferenza di Roma. Altrettanto strano appare questo Summit che si dice di pace ma che esclude interlocutori decisivi dell’area e con protagonisti quasi di unasola parte. Si annunciano infatti gli Stati uniti, l’Unione europea, Paesi arabi non meglio identificati, realtà finanziarie. Ma senza Siria e Iran. E Israele forse non ci sarà. Insomma non è una conferenza tra tutti i paesi dell’area, la sola dalla quale può emergere una reale pace. È vero, la Rice passerà a Tel Aviv e poi in Palestina da Abu Mazen. Come se la questione palestinese – che è il cuore del problema – fosse un elemento a margine. Guai poi a dare ai palestinesi una tribuna per denunciare l’assedio di Gaza e Cis Giordania. Il vertice diventa ancora più ambiguo alla luce della rivelazione di ieri del New York Times: il presidente George W. Bush ha deciso di inviare ad Israele un gigantesco quantitativo (una nave?) di armi sofisticate ebombesuperpotenti – le stesse usate in Iraq e Afghanistan. Noi abbiamo ragione di credere che quelle armi stiano partendo dall’Italia, in particolare dalla base militare di Camp Darby la cui logistica è collegata ad Israele. E questo anche in osservanza di untrattato militare con Tel Aviv siglato e deciso dal governo Berlusconi nel 2005. Aiutiamo un paese in guerra con un trattato militare e consentendo l’invio di armi micidiali la cui devastazione sui civili è già nota, e vogliamo essere al di sopra delle parti? Volesse il cielo che il governo di centro sinistra scelga fino in fondo la pace, maper questonon basta rivendicare all’Italia il premio Usa della conferenza. Negli anni Settanta e Ottanta sulla questione palestinese l’Italia fece molto di più. Confermiamo, in singolare coincidenza il giornoprima in Senato, la scelta di rimanere in guerra in Afghanistan, ma poi non riusciamo a deciderci sul ruolo dell’Italia in MedioOriente. Conferenza di pace o tribuna Usa? Roma o Camp Darby?